Aircraft carrier

Guerre attuali e potenziali

December 23, 2023

Strategia

– di Andrew Spannaus –

Con la conclusione dell’anno, è il momento di riflettere sui drammatici conflitti che sono esplosi di recente e sulle più ampie implicazioni globali che questi conflitti ci costringono a considerare per il futuro. Ci sono due principali aree calde, l’Ucraina e Gaza, e diverse altre regioni soggette a tensioni, con un particolare focus su una di esse nell’ambito della competizione globale tra le grandi potenze: Taiwan. Osservando attentamente, tutte e tre queste situazioni si inseriscono in uno scenario che, in caso di intensificazione e allargamento, potrebbe addirittura sfociare in una catastrofe globale per l’umanità.

Negli ultimi mesi, al centro delle attenzioni c’è stata soprattutto la risposta di Israele agli attacchi di Hamas del 7 ottobre scorso. Ora, come riconosce anche il governo americano, nonostante l’appoggio politico e materiale fornito a Tel Aviv, Israele sta perdendo consenso a livello internazionale. Il numero elevato di vittime a Gaza e l’apparente indifferenza del governo Netanyahu alle conseguenze della campagna militare terrestre stanno danneggiando l’immagine non solo di Israele, ma anche degli Stati Uniti. Washington viene criticata per l’apparente contraddizione tra l’insistenza sulla difesa dei civili in Ucraina e la riluttanza a esercitare pressioni efficaci sul governo israeliano per fermare i bombardamenti e le gravi conseguenze che si verificano quotidianamente. Nell’Occidente, la frustrazione e le critiche nei confronti di Tel Aviv stanno crescendo, ma viene minata comunque l’autorità morale del mondo occidentale, rafforzando l’impressione che gli Stati Uniti e l’Europa seguano più i propri interessi che le giuste cause.

Una divisione simile tra l’Occidente e i paesi del “Sud globale” si è già consolidata nell’ultimo anno in merito alla guerra in Ucraina. Per Washington e Bruxelles, si tratta di un conflitto tra democrazia e autocrazia, il bene e il male: si è sempre insistito sulla necessità di difendere Kiev per evitare di avallare un nuovo imperialismo russo e mettere a rischio il resto dell’Europa. Che la speranza di riprendere tutto il territorio ucraino da prima del 2014 fosse poco realistica era evidente dall’inizio, almeno per chi ha guardato la situazione in modo oggettivo. Ora anche negli Stati Uniti l’approccio comincia a cambiare, poiché si spinge il governo ucraino a pensare alle linee difensive per fermare un’ulteriore avanzata dei russi; si tratta di un evidente preludio all’idea di congelare il conflitto più o meno sulle linee attuali, con un impegno dell’Occidente di fornire le armi sufficienti almeno per mantenere l’indipendenza dell’Ucraina e farla avvicinare all’Europa.

Una delle vittime di questo cambiamento emergente è la speranza che la Russia sarebbe crollata sotto il peso delle sanzioni e del tentato isolamento economico. Ormai si riconosce non solo che l’economia e la produzione bellica russe hanno retto il colpo nonostante alcune difficoltà e squilibri, ma che per Mosca si aprono anche delle nuove opportunità in merito ad altri partner come la Cina, l’India e vari altri paesi dell’Asia e dell’Africa.

Anche qui, soffre la narrazione occidentale: molte nazioni dimostrano poco interesse di fronte agli appelli a difendere il diritto internazionale e la libertà che verrebbero calpestati da Mosca. Si guarda più al proprio interesse, e in questo quadro, i rapporti con la Russia rimangono essenziali a causa della sua grande disponibilità di materie prime e intermediari in vari settori, a partire dall’energia, naturalmente. Inoltre, c’è poca volontà di fare da pedine in una nuova guerra fredda; ciò è evidente nell’atteggiamento dell’India, che da una parte intensifica i rapporti con gli Stati Uniti, ma dall’altra non esita a partecipare perfino alle esercitazioni militari con la Russia.

In Medio Oriente si esercitano pressioni su Israele per ridurre le attività militari. Ma nonostante la volontà di Washington di evitare un allargamento del conflitto, la situazione nello Yemen dimostra che i rischi di peggioramento non sono così facili da schivare. In Ucraina, come detto, la strada verso il congelamento della guerra è evidente, ma gli ostacoli alle trattative diplomatiche rimangono numerosi da tutte le parti.

Il rischio più elevato di un conflitto diretto tra le superpotenze è presente nelle tensioni intorno a Taiwan. I presidenti degli Stati Uniti e della Cina hanno ripreso a parlarsi, e tutti sono consapevoli della necessità di evitare situazioni pericolose che potrebbero portare a una escalation. Tuttavia, parlarsi e ribadire la volontà di mantenere il dialogo non significa risolvere i problemi di fondo. Il problema principale persiste: la Cina sta crescendo e desidera espandere la sua influenza globale in generale, sostenendo in particolare i suoi diritti di sicurezza nel proprio “quartiere”. A Washington, la crescita cinese viene vista come una minaccia al sistema di regole internazionali; Pechino, invece, crede che dietro al tentativo di far rispettare queste regole ci sia semplicemente la volontà di mantenere la supremazia degli Stati Uniti e la visione di un mondo unipolare.

L’amministrazione Biden ha compreso che non è possibile perseguire un “decoupling”. Sta sviluppando nuove politiche industriali per vincere la battaglia tecnologica e mantenere la propria posizione di leadership nell’economia mondiale. La Cina, d’altra parte, non ha l’intenzione di conquistare il mondo attraverso mezzi militari, ma piuttosto di farlo tramite il proprio sistema economico, pur senza nascondere troppo il suo impegno a potenziare le proprie difese fino a un livello paragonabile a quello degli Stati Uniti. In questo contesto, il rischio di un aumento delle tensioni è elevato; e se ciò dovesse accadere, è difficile immaginare che una delle parti sarebbe disposta a fare un passo indietro e rischiare l’umiliazione politica. I prossimi anni richiederanno quindi molta attenzione, concentrandosi non solo sull’importanza della comunicazione costante, ma anche su come trovare un modus vivendi tra le grandi potenze che affermi e difenda i principi fondamentali agli occhi dell’Occidente, ma che dia alle altre potenze lo spazio per promuovere il proprio modello senza sentirsi minacciate in termini esistenziali. In caso contrario, come dimostra la configurazione globale che si sta delineando intorno ai tre casi che abbiamo trattato, non è difficile concepire una rapida escalation che potrebbe portare a un conflitto simile a quelli avvenuti circa un secolo fa, con in più tutti i pericoli della tecnologia moderna.

– Newsletter Transatlantico N. 34-2023

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