Harvard

La tempesta sulla libertà di espressione negli Usa

December 11, 2023

Cultura, Notizie, Politica

– di Andrew Spannaus –

Lo scorso 5 settembre, le presidenti di tre delle migliori università americane – Harvard, MIT e la University of Pennsylvania – hanno risposto alle domande dei deputati della Commissione sull’istruzione e la forza lavoro della Camera dei Rappresentanti degli Stati Uniti, suscitando polemiche sulla questione dell’antisemitismo. La deputata Elise Stefanik di New York, una conservatrice che è passata dalla fazione moderata repubblicana a diventare campionessa dell’ala MAGA negli ultimi anni, ha preso di mira le tre donne ponendo loro una domanda sulla legittimità degli appelli al “genocidio” contro gli ebrei. Le risposte evasive delle presidenti hanno avuto l’effetto sperato (per la Stefanik) di scatenare una tempesta di critiche verso il mondo accademico, che è nel mirino dei repubblicani per le sue posizioni “woke”, ossia molto politicamente corrette su questioni principalmente culturali.

La domanda della deputata che ha messo in difficoltà le rappresentanti delle università è stata la seguente: “Chiedere il genocidio degli ebrei viola le vostre regole o il codice di condotta in merito al bullismo e alle molestie?”. Sally Kornbluth del MIT è stata la prima a rispondere, sottolineando la differenza tra le parole di una dichiarazione pubblica e quelle rivolte agli individui. In risposta alla stessa domanda, Elizabeth Magill di Penn e Claudine Gay di Harvard hanno confermato che il giudizio su una dichiarazione del genere dipende dal contesto. Esprimere un’opinione antisemitica non è necessariamente una molestia, ma farlo rivolto a persone specifiche sì, poiché in tal caso rappresenta una forma di comportamento sanzionabile.

Stefanik ha tirato dritto senza considerare le sottilità delle regole riguardanti il discorso pubblico, cercando di dimostrare che nelle grandi università americane è permesso promuovere il genocidio. In realtà, come ha sottolineato Kornbluth, non si sono registrati appelli espliciti al “genocidio”, ma Stefanik ha affermato che il sostegno all’Intifada equivale sostanzialmente alla stessa cosa, una posizione sostenuta da vari gruppi ebraici.

Lo scambio è diventato virale, e le università sono state oggetto di pressioni immediate: Magill di Penn si è già dimessa, mentre Kornbluth e Gay si sono scusate per non aver risposto in modo più chiaro, ma per ora mantengono le loro posizioni. Nella stampa e nel mondo politico si sta discutendo ampiamente delle implicazioni di questo episodio, e i repubblicani intendono sfruttarlo per guadagnare punti nelle “culture wars”, sperando di danneggiare i democratici in generale e Joe Biden in particolare in vista delle elezioni presidenziali dell’anno prossimo.

Se si considerano le leggi sulla libertà di espressione, le tre presidenti hanno ragione.

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