Ukr resistance

Come la Nato ha preparato la resistenza ucraina

April 29, 2022

Notizie, Strategia

“La Russia sta fallendo”, ha dichiarato il segretario di Stato Usa Antony Blinken durante la sua recente visita in Ucraina; mentre “l’Ucraina ci sta riuscendo” nei suoi obiettivi. Il segretario alla Difesa Lloyd Austin ha aggiunto: “Crediamo che loro possano vincere se hanno il materiale e il sostegno giusto, e noi faremo tutto il possibile per assicurarci che lo abbiano”.

In realtà, gli Stati Uniti e la Nato lo fanno già da anni. Come abbiamo scritto nel mese di marzo, con l’attuazione della Resistance Operating Concept (ROC) – il Concetto operativo di resistenza – le forze speciali degli Stati Uniti e di altri paesi Nato già dal 2014 avevano lavorato per preparare gli ucraini all’eventualità di un’invasione russa, fornendo addestramento e materiale all’esercito regolare come anche alle unità della guardia nazionale – compresi i reggimenti come il Battaglione Azov – in una serie di campi considerati essenziali per la resistenza, dalle armi alle tecniche di sabotaggio, dalla guerra cyber alle operazioni psicologiche.

All’inizio del mese di aprile il Generale Richard Clarke, Comandante delle forze speciali americane, è stato sentito in audizione al Congresso Usa. Ha spiegato che nel corso degli anni le piccole unità ucraine sono state potenziate, “crescendo fino a raggiungere l’equivalente di tre brigate comandate da colonnelli e un reggimento di addestramento. Negli ultimi 18 mesi hanno aggiunto delle compagnie di resistenza… integrate dentro ognuna di quelle brigate”.

Il programma ROC fu creato all’inizio dello scorso decennio, concepito da un ex colonnello dell’esercito americano, Otto Fiala. Il piano iniziale era di addestrare le forze della resistenza principalmente nei paesi baltici, ma con un occhio anche ad altri paesi dell’Europa orientale. Nel novembre 2020 Fiala ha spiegato che dopo il concepimento del ROC in Europa in seno al Comando delle operazioni speciali (SOCEUR) il programma si è allargato ad altri settori dell’esercito, con una crescita dell’intensità a partire dal 2014 quando la Russia ha annesso la Crimea.

Ora questo piano comprende numerose attività, come spiegato nella testata SOF News, che nel 2019 pubblicò un aggiornamento sullo stato dei programmi ROC contro la Russia:

“SOCEUR sta lavorando con i paesi baltici, nordici ed altre nazioni partner per sviluppare ulteriormente il coordinamento e raffinare i concetti associati alla guerra partigiana, i movimenti di resistenza, e la guerra non convenzionale. Lo fa attraverso conferenze di coordinamento e di pianificazione, esercizi di addestramento, seminari, workshop, esercizi da tavola, pubblicazioni, e lo scambio di informazioni entro le reti Subject Matter Expert (SME). La resistenza è presentata dal ROC come uno sforzo nazionale di riconquistare la sovranità dopo l’invasione e l’occupazione da parte di un aggressore. E’ uno sforzo dell’intera società che abbraccia una postura di resistenza totale”.

In questa serie di attività non mancano gli elementi della guerra ibrida moderna. Si enfatizza l’importanza di aggiungere alla visione passata di guerriglia l’importanza delle comunicazioni rapide, del trasferimento dei dati, e della guerra cyber ed economica.

Non si tratta solo degli Stati Uniti. Oltre all’esercito americano operano anche le forzate armate del Regno Unito, con un proprio programma con il nome Operation Orbital, iniziato nel 2015. Fino al 2022 circa 22 mila soldati ucraini sono stati addestrati dagli inglesi. Infine c’è da registrare le attività delle agenzie d’intelligence: la Cia, per esempio, ha concentrato i suoi sforzi sull’addestramento dei cecchini, le tecniche di comunicazioni coperte, e l’utilizzo di armi specifiche come quelle per abbattere i carri armati, i Javelin che hanno rappresentato per gli ucraini uno strumento fondamentale nelle prime settimane del conflitto.

Ufficialmente tutti questi programmi avevano anche lo scopo di deterrenza; cioè, aver preparato la resistenza per anni, senza aver mantenuto segrete le attività, avrebbe dovuto convincere la Russia che i costi di un’invasione dell’Ucraina sarebbero stati alti, troppo alti da rischiare. Invece Mosca sembra aver ragionato in senso contrario: se la Nato continua a fornire aiuti militari ed addestrare gli ucraini a combattere contro la Russia allora significa che si sta preparando effettivamente lo scontro. Il ROC non è servito come deterrente, ma pare che abbia contribuito a convincere Vladimir Putin che la situazione in Ucraina si stava avvicinando ad un punto di non ritorno, in cui pur senza garanzie formali il paese diventava di fatto un’estensione della Nato.

D’altronde dal suo insediamento all’inizio della guerra l’amministrazione Biden aveva già approvato forniture di armi all’Ucraina per 1,2 miliardi di dollari. E ci sono elementi concordanti che dimostrerebbero che Kiev stava preparando un’offensiva contro il Donbass quest’anno, con un aumento delle truppe e degli attacchi di artiglieria rilevato anche da organizzazioni indipendenti come l’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa.

Tutto questo, però, è successo in parallelo ai tentativi di diplomazia portati avanti da tre presidenti americani di fila. Nel 2013 Barack Obama diede inizio alla collaborazione con Putin in Siria, prima di trovarsi schiacciato dalla crisi ucraina; Donald Trump si dichiarava aperto alla collaborazione con il presidente russo, ma durante il suo mandato i rapporti non sono migliorati, grazie alle pressioni contrarie delle istituzioni di Washington e all’incoerenza di Trump stesso, che finì per aumentare il livello dello scontro militare in Ucraina con la decisione di fornire finalmente le armi “letali” a Kiev.

Nei primi mesi del suo mandato anche Joe Biden ha cercato di migliorare i rapporti con Mosca, dando vita ad un importante processo di “dialogo di stabilità strategica,” portando i due paesi ad un nuovo livello di collaborazione. Questa fase è durata poco, però, in quanto alla fine di agosto 2021 Washington e Kiev hanno stilato lo “Strategic Defense Framework”, sottolineando le aspirazioni di Kiev di entrare nella Nato e promettendo armi più potenti ed ulteriore addestramento. Presto Putin riprese a mandare le truppe nelle zone di confine con l’Ucraina, tenendo aperta l’opzione dell’invasione se non fosse riuscito ad ottenere qualche concessione dagli Stati Uniti.

La decisione del Cremlino di invadere l’Ucraina ha ricompattato le istituzioni americane: le diversità di posizione tra la Casa Bianca e altre strutture dello Stato, evidente durante la presidenza Obama e ancora di più durante quella di Trump, sono state messe in sordina. Ora il presidente esprime una posizione che riflette una politica concordata tra gli attori principali della sicurezza nazionale; anche le gaffe di Biden, come aver parlato della necessità di estromettere Putin dal potere, sono indicatori di quanto si discute dietro le quinte. E come scritto nelle ultime settimane, l’approccio prevalente negli Stati Uniti al momento è di cercare di sfruttare questo conflitto per conseguire dei vantaggi geopolitici: rafforzare l’unità dei paesi Nato, indebolire Putin e la Russia in generale, e mettere in guardia la Cina in merito a Taiwan e alle sue ambizioni di espansione della propria sfera d’influenza.

“La Russia sta fallendo”, ha dichiarato il segretario di Stato Usa Antony Blinken durante la sua recente visita in Ucraina; mentre “l’Ucraina ci sta riuscendo” nei suoi obiettivi. Il segretario alla Difesa Lloyd Austin ha aggiunto: “Crediamo che loro possano vincere se hanno il materiale e il sostegno giusto, e noi faremo tutto il possibile per assicurarci che lo abbiano”.

In realtà, gli Stati Uniti e la Nato lo fanno già da anni. Come abbiamo scritto nel mese di marzo, con l’attuazione della Resistance Operating Concept (ROC) – il Concetto operativo di resistenza – le forze speciali degli Stati Uniti e di altri paesi Nato già dal 2014 avevano lavorato per preparare gli ucraini all’eventualità di un’invasione russa, fornendo addestramento e materiale all’esercito regolare come anche alle unità della guardia nazionale – compresi i reggimenti come il Battaglione Azov – in una serie di campi considerati essenziali per la resistenza, dalle armi alle tecniche di sabotaggio, dalla guerra cyber alle operazioni psicologiche.

All’inizio del mese di aprile il Generale Richard Clarke, Comandante delle forze speciali americane, è stato sentito in audizione al Congresso Usa. Ha spiegato che nel corso degli anni le piccole unità ucraine sono state potenziate, “crescendo fino a raggiungere l’equivalente di tre brigate comandate da colonnelli e un reggimento di addestramento. Negli ultimi 18 mesi hanno aggiunto delle compagnie di resistenza… integrate dentro ognuna di quelle brigate”.

Il programma ROC fu creato all’inizio dello scorso decennio, concepito da un ex colonnello dell’esercito americano, Otto Fiala. Il piano iniziale era di addestrare le forze della resistenza principalmente nei paesi baltici, ma con un occhio anche ad altri paesi dell’Europa orientale. Nel novembre 2020 Fiala ha spiegato che dopo il concepimento del ROC in Europa in seno al Comando delle operazioni speciali (SOCEUR) il programma si è allargato ad altri settori dell’esercito, con una crescita dell’intensità a partire dal 2014 quando la Russia ha annesso la Crimea.

Ora questo piano comprende numerose attività, come spiegato nella testata SOF News, che nel 2019 pubblicò un aggiornamento sullo stato dei programmi ROC contro la Russia:

“SOCEUR sta lavorando con i paesi baltici, nordici ed altre nazioni partner per sviluppare ulteriormente il coordinamento e raffinare i concetti associati alla guerra partigiana, i movimenti di resistenza, e la guerra non convenzionale. Lo fa attraverso conferenze di coordinamento e di pianificazione, esercizi di addestramento, seminari, workshop, esercizi da tavola, pubblicazioni, e lo scambio di informazioni entro le reti Subject Matter Expert (SME). La resistenza è presentata dal ROC come uno sforzo nazionale di riconquistare la sovranità dopo l’invasione e l’occupazione da parte di un aggressore. E’ uno sforzo dell’intera società che abbraccia una postura di resistenza totale”.

In questa serie di attività non mancano gli elementi della guerra ibrida moderna. Si enfatizza l’importanza di aggiungere alla visione passata di guerriglia l’importanza delle comunicazioni rapide, del trasferimento dei dati, e della guerra cyber ed economica.

Non si tratta solo degli Stati Uniti. Oltre all’esercito americano operano anche le forzate armate del Regno Unito, con un proprio programma con il nome Operation Orbital, iniziato nel 2015. Fino al 2022 circa 22 mila soldati ucraini sono stati addestrati dagli inglesi. Infine c’è da registrare le attività delle agenzie d’intelligence: la Cia, per esempio, ha concentrato i suoi sforzi sull’addestramento dei cecchini, le tecniche di comunicazioni coperte, e l’utilizzo di armi specifiche come quelle per abbattere i carri armati, i Javelin che hanno rappresentato per gli ucraini uno strumento fondamentale nelle prime settimane del conflitto.

Ufficialmente tutti questi programmi avevano anche lo scopo di deterrenza; cioè, aver preparato la resistenza per anni, senza aver mantenuto segrete le attività, avrebbe dovuto convincere la Russia che i costi di un’invasione dell’Ucraina sarebbero stati alti, troppo alti da rischiare. Invece Mosca sembra aver ragionato in senso contrario: se la Nato continua a fornire aiuti militari ed addestrare gli ucraini a combattere contro la Russia allora significa che si sta preparando effettivamente lo scontro. Il ROC non è servito come deterrente, ma pare che abbia contribuito a convincere Vladimir Putin che la situazione in Ucraina si stava avvicinando ad un punto di non ritorno, in cui pur senza garanzie formali il paese diventava di fatto un’estensione della Nato.

D’altronde dal suo insediamento all’inizio della guerra l’amministrazione Biden aveva già approvato forniture di armi all’Ucraina per 1,2 miliardi di dollari. E ci sono elementi concordanti che dimostrerebbero che Kiev stava preparando un’offensiva contro il Donbass quest’anno, con un aumento delle truppe e degli attacchi di artiglieria rilevato anche da organizzazioni indipendenti come l’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa.

Tutto questo, però, è successo in parallelo ai tentativi di diplomazia portati avanti da tre presidenti americani di fila. Nel 2013 Barack Obama diede inizio alla collaborazione con Putin in Siria, prima di trovarsi schiacciato dalla crisi ucraina; Donald Trump si dichiarava aperto alla collaborazione con il presidente russo, ma durante il suo mandato i rapporti non sono migliorati, grazie alle pressioni contrarie delle istituzioni di Washington e all’incoerenza di Trump stesso, che finì per aumentare il livello dello scontro militare in Ucraina con la decisione di fornire finalmente le armi “letali” a Kiev.

Nei primi mesi del suo mandato anche Joe Biden ha cercato di migliorare i rapporti con Mosca, dando vita ad un importante processo di “dialogo di stabilità strategica,” portando i due paesi ad un nuovo livello di collaborazione. Questa fase è durata poco, però, in quanto alla fine di agosto 2021 Washington e Kiev hanno stilato lo “Strategic Defense Framework”, sottolineando le aspirazioni di Kiev di entrare nella Nato e promettendo armi più potenti ed ulteriore addestramento. Presto Putin riprese a mandare le truppe nelle zone di confine con l’Ucraina, tenendo aperta l’opzione dell’invasione se non fosse riuscito ad ottenere qualche concessione dagli Stati Uniti.

La decisione del Cremlino di invadere l’Ucraina ha ricompattato le istituzioni americane: le diversità di posizione tra la Casa Bianca e altre strutture dello Stato, evidente durante la presidenza Obama e ancora di più durante quella di Trump, sono state messe in sordina. Ora il presidente esprime una posizione che riflette una politica concordata tra gli attori principali della sicurezza nazionale; anche le gaffe di Biden, come aver parlato della necessità di estromettere Putin dal potere, sono indicatori di quanto si discute dietro le quinte. E come scritto nelle ultime settimane, l’approccio prevalente negli Stati Uniti al momento è di cercare di sfruttare questo conflitto per conseguire dei vantaggi geopolitici: rafforzare l’unità dei paesi Nato, indebolire Putin e la Russia in generale, e mettere in guardia la Cina in merito a Taiwan e alle sue ambizioni di espansione della propria sfera d’influenza.

Tuttavia cominciano ad emergere alcune preoccupazioni: voci anonime del Pentagono che contestano la lettura ufficiale della guerra, ammonendo del pericolo di dipingere Putin come il nuovo Hitler; e nel mondo accademico la richiesta di un maggiore realismo nei confronti della Russia, per evitare il rischio di escalation verso l’utilizzo anche limitato delle testate nucleari. In questo momento le voci che chiedono di frenare l’entusiasmo bellico sono sicuramente minoritarie, e fanno fatica ad influenzare una politica che di fronte all’aggressione russa sente la necessità impellente di fornire più aiuto possibile; d’altronde non si parla più di un rischio ipotetico, ma di morte e distruzione che avvengono davanti ai nostri occhi. I falchi affermano che l’unico modo di assicurare che la Russia non aggredirà altri è di sconfiggerla in Ucraina e rafforzare le capacità della Nato in tutte le zone di confine. La storia del ROC, però, dimostra i due lati di una politica di questo tipo: da una parte l’importanza di essere preparati per l’eventualità peggiore, e dall’altra il fatto che prepararsi può anche significare convincere l’avversario che si punti proprio allo scontro, generando un circolo vizioso di aumento delle tensioni. E’ lo stesso dilemma che si presenta con l’allargamento della Nato, ancora oggi dopo lo scoppio del conflitto: serve ancora di più per difendere i paesi che si sentono minacciati a causa della vicinanza alla Russia, oppure sarà un fattore che destabilizza ulteriormente i rapporti, aumentando il rischio di un conflitto più ampio?

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