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La mossa post-globale di Biden sulle catene di valore

March 2, 2021

Economia, Politica

– di Andrew Spannaus –

(free) – Dopo l’ordine esecutivo “Buy American” con cui il presidente americano Joe Biden ha potenziato gli obblighi per le agenzie dello stato di spendere i soldi dei contribuenti “per i beni fatti in America, da parte degli americani, e con componenti fatti in America”, ora Biden passa alla prossima fase dell’inversione delle politiche della globalizzazione economica degli ultimi decenni. La Casa Bianca ha annunciato una verifica di 100 giorni della vulnerabilità delle catene di valore in quattro settori fondamentali: farmaceutico, terre rare, semiconduttori e batterie ad alta capacità. Lo stesso ordine esecutivo dispone una revisione più lunga della situazione delle filiere in altri campi quali la difesa, la sanità pubblica, le tecnologie delle comunicazioni, l’energia, i trasporti e la produzione alimentare.

Si tratta di una presa d’atto di un problema reso evidente nello specifico durante la pandemia, in quanto l’interruzione delle forniture – non solo nel settore biomedicale – ha provocato problemi immediati per la produzione di una serie di beni; ma la necessità di ripensare il modello della produzione frammentata, e il concetto stesso delle “catene di valore” che prevede l’aggiunta di valore attraverso la divisione dei processi industriali anche in termini geografici, è evidente da tempo. Infatti negli ultimi anni si è già visto un principio di “re-shoring”, cioè di ritorno delle industrie dai paesi a basso costo verso i mercati occidentali.

Ci sono più motivi che spingono questo processo. Da una parte è venuto meno il forte vantaggio della Cina in termini di costo del lavoro, grazie all’aumento dei salari e del maggiore contenuto tecnologico della produzione. Ma questo elemento spiega solo in parte il cambiamento, che infatti vede anche lo spostamento verso paesi come il Vietnam dove si cerca comunque un vantaggio sul costo del lavoro e della regolamentazione. Il problema più ampio, presente da tempo, riguarda le conseguenze per le società occidentali: ci sono gli effetti politici della delocalizzazione della produzione, che ha svolto un ruolo non piccolo nel fomentare la rivolta populista degli ultimi anni. Donald Trump ha puntato molto sullo svuotamento dell’industria americana e sul declino della classe media, tema di punta anche dei progressisti di sinistra. Le istituzioni non possono più ignorare questa dinamica, che ha portato anche alle crescenti disuguaglianze interne, in quanto l’economia “globalizzata” ha aiutato principalmente chi trova impiego nei servizi di alta fascia, generando difficoltà e precarietà per la maggior parte della forza lavoro.

L’altro aspetto – che comincia finalmente a diventare evidente nei palazzi di Washington – sono gli effetti della delocalizzazione sul peso strategico degli Stati Uniti. La Cina ha sfruttato il processo di globalizzazione per diventare una grande potenza, esercitando un forte controllo in numerosi settori economici; questo ha permesso a Pechino anche di proiettarsi verso altre aree del mondo come l’Africa e l’America Latina – e perfino l’Europa – presentando il proprio modello di sviluppo come l’alternativa a quello occidentale. Le ripercussioni geopolitiche sono significative, e hanno costretto gli Stati Uniti a pianificare un rapido cambiamento di rotta, innescato dalla presidenza di Donald Trump. Ora Joe Biden dimostra che questa visione “nazionalista” è considerata un imperativo strategico, che troverà sostegno bipartisan non solo in campo sanitario, ma in particolare per i settori cruciali come le tecnologie delle comunicazioni.

Questo cambiamento è stato anticipato nel libro l’America post-globale, scritto la scorsa estate. A p. 177 in apertura del capitolo sulle catene di valore, si scrive: “Un’area dove si comincia già a vedere un ripensamento del sistema della globalizzazione, è quella delle strutture globali dei sistemi di produzione, note come le catene di valore, o global value chains”. Dopo aver trattato gli effetti deleteri dell’outsourcing a più livelli, si conclude dicendo: “un cambiamento nel modo di pensare all’organizzazione della produzione a livello globale è in atto da qualche anno, e non potrà che essere accelerato dalla crisi del 2020”.

– Newsletter Transatlantico N. 8-2021

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