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La Cina si prepara a uno scontro più duro

February 26, 2021

Economia, Politica

(free) – di Paolo Balmas –

Negli stessi giorni in cui l’Unione Europea si è concentrata sulla revisione delle proprie politiche commerciali, la Cina ha redatto una bozza sulla revisione della propria politica sulle esportazioni di terre rare. Un’arma quest’ultima che portata nello scenario dei contrasti con gli Usa e l’Ue in questioni commerciali, potrebbe risultare problematica, in particolare per i settori aerospaziale e della difesa occidentali. La bozza, per quanto riportato da fonti non cinesi, dovrebbe rivedere il sistema delle quote di produzione, degli investimenti nel settore e le politiche di controllo in generale. Queste notizie circolano mentre l’ammnistrazione Biden si prepara a rivedere la politica Usa nei confronti della Cina e l’idea di un potenziale divorzio fra Cina e investitori esterni viene mantenuta viva in vari paesi.

Fra questi, il Giappone ha assunto una posizione non troppo diversa da quella degli Usa. Da un lato le notizie tendono a sottolineare come tale divorzio sia già una realtà, dall’altra esistono sondaggi e numeri che ridimensionano le narrazioni mediatiche e, a volte, sembrano dimostrare il contrario. Ad esempio, di recente è stato esaltato il ruolo del Bangladesh come nuova destinazione delle imprese giapponesi per diversificare le catene di valore troppo dipendenti dalla Cina. Si prevedono oltre 20 miliardi di dollari di investimenti da parte di Tokyo nella nascente zona economica speciale di Araihazar, a pochi chilometri da Dhaka. Ma ciò, più che dimostrare un divorzio dalla Cina, dimostra la crescente globalizzazione di regioni asiatiche da parte delle imprese giapponesi. Almeno per il momento.

Un sondaggio effettuato dalla Japan External Trade Organization (Jetro), ha rivelato che solo il 7,2% delle imprese giapponesi in Cina sta pianificando o considerando di spostarsi in seguito alla politica di sovvenzioni voluta da Abe nelle sue ultime settimane alla guida del governo giapponese nel 2020. Una visione più realistica di quella dei media l’ha fornita il Ceo di Toyota, Toyoda Akio, che ha dichiarato che intende ‘seguire la crescita’. Il riferimento implicito è alla Cina, data la previsione di crescita dei consumi interni per i prossimi anni. Tale condizione non è molto distante dall’esperienza delle imprese americane che producono in Cina per il mercato cinese o per i mercati europei, oggi più facilmente raggiungibili dalla Cina via terra con un ampio risparmio di tempo e denaro. Come già sostenuto, una forma di divorzio è in atto, ma non è estrema e riguarda solo alcuni segmenti precisi dell’economia.

Tuttavia, gli scontri mediatici e la guerra di parole fra la Cina e l’Occidente continuano a intensificarsi. Il Canada ha promosso una campagna appoggiata da più di cinquanta altri paesi per accusare la Cina di detenzione impropria di cittadini stranieri a fini politici. Il riferimento è ai due cittadini canadesi detenuti in Cina in risposta all’arresto della direttrice finanziaria di Huawei, Meng Wanzhou, avvenuto in Canada su richiesta di Washington. L’accusa alla Cina è stata formulata dal nuovo Segretario di Stato degli Usa, Antony Blinken, che ha rivelato al pubblico americano l’iniziativa multilaterale. La Cina ha risposto che il Canada è l’emblema dell’ipocrisia. Nelle stesse ore, sono state formulate anche nuove accuse nei confronti della Cina sul fronte della diffusione del coronavirus. In particolare, questa volta, si è sottolineato l’uso dei social cinesi e internazionali da parte di gruppi di pressione cinesi per disinformare il pubblico mondiale.

Per quanto tali accuse abbiano o meno reali fondamenta, avranno certamente peso nella formazione di un consenso in Occidente più radicale nei confronti della Cina. Ma ci sono altre questioni più preoccupanti che in generale trovano meno spazio sui media. Una di queste è la nuova legge per la sicurezza delle coste promulgata dalla Cina nei giorni passati, che prevede fra l’altro la possibilità di attacchi preventivi a imbarcazioni straniere nelle acque territoriali, in caso di minaccia alla sicurezza nazionale. Il problema qui è di interpretazione sia del pensiero cinese che di ‘acque territoriali’ per la Cina. I mari cinesi sono un intricato sovrapporsi di rivendicazioni su acque e isole, non solo da parte cinese, ma anche dei vicini, fra cui Giappone, Vietnam, Malesia e Filippine. Queste ultime hanno reagito con maggiore preoccupazione alla legge, chiedendo chiarificazioni a Pechino. La Cina ha risposto di non avere alcuna intenzione di inasprire i rapporti con i suoi vicini attraverso questa legge.

Un irrigidimento della posizione cinese nei mari avrà ripercussioni sulle conversazioni in corso fra Usa, Giappone, Australia e India in relazione alla sicurezza nella regione dell’Indo-Pacifico. Non solo potrebbe portare a un avvicinamento ulteriore delle potenze in chiave anti cinese, ma anche coinvolgere maggiormente la Nato nella discussione. Condizione che a sua volta potrà avere importanti risvolti per il futuro dell’Alleanza.

– Newsletter Transatlantico N. 7-2021

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