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Confusione sullo stato dell’economia americana

September 9, 2019

Economia

(free) – di Andrew Spannaus –

Da quando è iniziata la stagione delle primarie democratiche per le elezioni presidenziali del 2020, si sente spesso in Europa una valutazione che in termini di superficialità fa a gara con quelle prima del voto del 2016: l’economia americana va così bene che è difficile pensare che Donald Trump possa fallire nell’obiettivo di essere rieletto come presidente degli Stati Uniti.

Da un certo punto di vista potrebbe sembrare giustificato: il tasso di disoccupazione è sotto il 4 per cento, la borsa è salita parecchio da quando è stato eletto Trump, e in generale si può dire che l’economia americana sembra reggere anche agli scontri ingaggiati dal presidente per tentare di ridurre il deficit commerciale verso altri paesi, partendo dalla Cina.

Si tratta, però, dello stesso errore fatto in passato. Infatti quando fu eletto Trump il tasso di disoccupazione era già sotto il 5%, e gli economisti parlavano di un periodo di crescita senza eguali nella storia americana. Eppure nella campagna elettorale del 2016 Trump, e anche Bernie Sanders sul lato democratico, riuscirono a sfruttare il disagio socio-economico creato dalla globalizzazione, il risultato della perdita di milioni di posti di lavoro nelle industrie produttive nel corso di decenni, e del conseguente aumento della precarietà e delle disuguaglianze.

E’ senz’altro vero che molti nuovi posti di lavoro sono stati creati negli ultimi due anni, e si è vista una crescita nel settore manifatturiero, uno degli obiettivi essenziali di questa amministrazione: nei primi 30 mesi dell’amministrazione Trump si sono aggiunti 499 mila posti di lavoro nelle manifatture, più del doppio rispetto agli ultimi 30 mesi dell’amministrazione Obama. Ma tra le 10 occupazioni che stanno vedendo la maggiore crescita in questi anni, 8 hanno salari inferiori a 30 mila dollari all’anno lordi, ben al di sotto del reddito medio americano di quasi 47 mila dollari all’anno. Si deve aggiungere poi che nonostante la crescita recente dei salari il potere d’acquisto dell’americano medio è uguale a quello di 40 anni fa; e nel dato medio, ovviamente, si nascondono forti guadagni per i cittadini più benestanti, rispetto alla stagnazione, o al deterioramento, delle condizioni per le fasce più povere.

Questi dati, che fotografano solo alcuni aspetti delle difficoltà delle classi medie e basse, aiutano a spiegare perché i democratici hanno ottenuto una netta vittoria alle elezioni di medio termine dello scorso novembre 2018 concentrandosi sui pocketbook issues, cioè le questioni di portafoglio, come gli alti costi della sanità e dell’istruzione, e la necessità di aumentare il salario minimo per garantire che chi lavora non cada sotto la soglia della povertà. Infatti attualmente il dibattito tra i candidati democratici ruota principalmente intorno a come affrontare queste problematiche, con programmi per combattere gli effetti della globalizzazione e della finanziarizzazione dell’economia; è emblematico il programma per il “patriottismo economico” di Elizabeth Warren, che punta a “difendere e creare posti di lavoro americani”, con forti critiche alle società che puntano solo al profitto finanziario immediato.

Si potrebbe dire che la situazione economica sembra comunque in miglioramento rispetto agli anni passati, e quindi è importante guardare la tendenza generale; ma nelle ultime settimane sono aumentate le preoccupazioni di una possibile recessione, e a ben vedere, è da qualche mese che emergono segnali negativi. Nell’ultimo anno la produzione industriale americana è diminuita dello 0,5%, e ormai si parla diffusamente di una “recessione nelle manifatture”.

A livello più profondo, c’è il problema di cui parlano pochi: il grande indebitamento che affligge le famiglie e le imprese americane. Sono numerosi i settori – guidati dal retail – in cui le attività speculative degli hedge funds e private equity funds creano fallimenti e equilibri precari che potrebbero sfociare nello scoppio di una bolla del debito con conseguenze tutt’altro che limitate.

L’economia statunitense è grande, e quindi anche quando solo una parte va a gonfie vele produce numeri imponenti. Ci sono tante aree del paese dove si sta decisamente bene, e quindi per l’osservatore esterno a volte è difficile capire quanta gente fa fatica ad andare avanti. Ma gli elementi presentati sopra fanno capire che la narrazione positiva degli ultimi anni può ancora una volta essere bucata dalla realtà del disagio di quei settori della popolazione americana che si trovano in situazioni di forte precarietà.

I numeri macroeconomici sembrano positivi, ma un’analisi attenta indica che i problemi strutturali che hanno contribuito all’elezione di Donald Trump nel 2016 sono ancora ben presenti oggi, e il presidente in carica dovrà considerarli nella prossima campagna elettorale, senza commettere lo stesso errore dei suoi predecessori che troppo spesso hanno decantato la forza dell’economia americana senza tenere conto degli squilibri e dei pericoli presenti sotto la superficie.

– Newsletter Transatlantico N. 24-2019

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