Westminster

Implicazioni del caso Skripal

March 22, 2018

Economia, Politica

(free) – di Paolo Balmas –

I ministri degli Esteri dell’UE, riuniti a Bruxelles, non hanno raggiunto una posizione coesa nella stesura di una dichiarazione congiunta sull’affare Skripal. Le divergenze riguardano l’accusa esplicita nei confronti del governo russo di aver perpetrato l’attacco contro Sergei Skripal, ex agente dei servizi segreti di Mosca, e sua figlia Yulia, nella città inglese di Salisbury lo scorso 4 marzo 2018. I due sono attualmente in terapia intensiva per essere stati esposti a un agente nervino, il Novichok (la sostanza e il suo nome hanno origine nei centri di ricerca dell’ex Unione Sovietica). Skripal è stato descritto come un’ex spia che ha tradito molti colleghi russi che operavano in Gran Bretagna.

Secondo alcune fonti, ad assumere un atteggiamento incerto sono state in particolare la Grecia, l’Ungheria e l’Italia. Dubbi sulla vicenda sono stati espressi anche dall’Alto Rappresentante, Federica Mogherini. L’UE ha espresso solidarietà nei confronti di Londra ma non ha appoggiato fino in fondo la sua campagna antirussa, come invece hanno fatto alcuni Stati membri a titolo privato, Germania e Francia, e gli Usa, i quali hanno firmato una dichiarazione di accusa esplicita nei confronti di Mosca, in cui tuttavia si legge che la responsabilità dell’atto è “con ogni probabilità” da attribuire alla Russia. Parigi ha assunto una posizione contradditoria, in quanto il portavoce di Macron, Benjamin Griveaux, ha sottolineato la necessità di avere maggiori prove prima di appoggiare le posizioni di Theresa May, definite come “fantasy politics”.

Secondo le forze di polizia britanniche, le indagini potrebbero andare avanti anche per mesi. Un’affermazione che lascia intendere la situazione di incertezza in cui si trovano gli investigatori, che prende distanza dalle certezze espresse da Theresa May nel suo discorso alla House of Commons circa le responsabilità del fatto. In Gran Bretagna si trovano anche gli ispettori dell’Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche (OPCW), per prendere parte alle indagini. Il rappresentante russo presso l’OPCW, Alexander Shulgin, ha spiegato che l’origine della sostanza utilizzata nell’attentato è da ricercare in quei paesi che hanno ospitato gli scienziati russi che abbandonavano la patria negli scorsi anni ’90, dopo il crollo dell’Urss. Mosca, secondo Shulgin, sa esattamente quali paesi hanno sviluppato la ricerca in questo campo e chi produce l’agente nervino. Probabilmente, ha aggiunto, è proprio per questo che la delegazione britannica presso l’OPCW tiene lontano gli esperti russi, perché questi potrebbero individuare qualche indizio fondamentale per impostare correttamente le indagini.

Una prova di quanto asserito da Shulgin l’ha offerta l’ex ambasciatore britannico in Uzbekistan, Craig Murray, secondo il quale almeno dal 2016 gli scienziati iraniani sono in grado di sintetizzare il Novichok. Non esiste motivo di credere che l’Iran sia coinvolta nella vicenda, ma secondo Murray se l’Iran può sintetizzarlo allora la lista dei paesi in cui è possibile produrlo è lunga. L’ex ambasciatore ha anche colto l’occasione per accusare alcuni stati, come Israele e Corea del Nord, di non riconoscere l’OPCW e non firmare la Convenzione contro le armi chimiche. Tuttavia, il punto saliente sostenuto da Murray in questa storia è che le parole espresse nel comunicato congiunto di Gran Bretagna, Usa, Germania e Francia, che descrivono l’agente nervino utilizzato come “un tipo sviluppato dalla Russia”, indicherebbe il rifiuto degli scienziati britannici di sostenere la tesi secondo cui l’agente nervino sia stato prodotto e utilizzato dai russi.

Il ministro degli Esteri britannico, Boris Johnson, ha detto di essere a conoscenza del fatto che la Russia possiede una scorta di Novichok. Una dichiarazione che risulta in aperta opposizione al traguardo raggiunto da Mosca lo scorso anno, ovvero di aver distrutto tutte le armi chimiche in suo possesso, come previsto dagli impegni in ambito OPCW, che oltretutto ha permesso a Putin di criticare Washington per non aver ancora adempiuto all’impegno.

La prima minaccia britannica consiste nella potenziale espulsione di 23 rappresentanti della diplomazia russa dal paese, considerata da Mosca una provocazione inaccettabile alla quale rispondere sullo stesso piano, ovvero con l’espulsione di 23 diplomatici britannici dalla Russia. Anche se si trattasse di un regolamento di conti fra l’ex spia e i suoi vecchi datori di lavoro (ambito in cui del resto operava lo stesso Putin), l’impostazione del caso mira a compromettere ulteriormente i cattivi rapporti fra Occidente e Russia. Non possono essere ignorate in tal senso almeno due questioni di primo piano: la coincidenza degli eventi con le elezioni russe e le evoluzioni del mercato energetico europeo.

In Occidente, l’immagine di Putin vittorioso che ha conquistato la presidenza per altri sei anni con un ampio sostegno popolare, è stata oscurata dal caso Skripal, che getta una nuova ombra sulle capacità russe di interferire e operare in altri paesi. Dall’altro lato, aumenta il contrasto in Europa fra chi sostiene il necessario coinvolgimento della Russia nell’approvvigionamento di fonti energetiche e chi invece vuole aumentarne le distanze. Non è un caso che lo scorso 15 marzo, Theresa May abbia sfruttato l’ondata di accuse contro Mosca per proporre una riduzione dell’import di gas russo e individuare nuovi fornitori. Forse non è un caso che quei paesi europei che hanno mostrato qualche dubbio nell’accusare apertamente la Russia (Italia e Ungheria), hanno interessi condivisi con Mosca proprio in ambito energetico. A quanto pare, si dovrà aspettare molto per conoscere le evoluzioni delle indagini sui fatti relativi all’attacco, ma sarà più facile comprendere come il caso Skripal verrà utilizzato dai governi occidentali per meglio implementare alcune politiche in opposizione all’espansione Russa.

– Newsletter Transatlantico N. 10-2018

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