Draghi Quirinale

L’Italia appiattita

April 15, 2022

Notizie, Politica

– di Andrew Spannaus –

Durante la Guerra fredda l’Italia era un paese di confine, componente del blocco occidentale al confine con il mondo comunista (seppur la Jugoslavia fosse uno dei membri fondatori del Movimento dei Non Allineati) e anche il paese con il più grande partito comunista al proprio interno. I legami politici conseguenti, insieme ad altri fattori come la politica di indipendenza energetica promossa da Enrico Mattei, hanno permesso all’Italia di svolgere il ruolo di paese ponte in certe situazioni, tra il mondo occidentale ed alcune altre aree del mondo, dal Medio Oriente e il Nord Africa, ai Balcani e l’Unione Sovietica.

In termini pratici, significa che nel corso degli anni, pur essendo un membro importante della Nato l’Italia ha mantenuto rapporti economici e anche diplomatici con paesi che sono diventati in qualche modo nemici dell’occidente, dall’Iran e la Libia, alla Russia dopo il crollo dell’Unione sovietica. E’ emblematico il fatto che durante il bombardamento della Serbia nel 1999, l’Italia fu l’unico paese Nato a mantenere aperta l’ambasciata a Belgrado; come anni dopo Silvio Berlusconi coltivò l’amicizia con Vladimir Putin e perfino Enrico Letta decise di andare alle Olimpiadi di Sochi nel 2014, nonostante la decisione contraria di gran parte degli altri leader europei.

I rapporti con la Russia sono stati particolarmente controversi negli ultimi vent’anni: Berlusconi fu osteggiato da alcuni ambienti Usa per questo motivo, e anni dopo la Lega finì nella bufera mediatica e giudiziaria a causa dei suoi rapporti con Mosca. Le pressioni per cambiare direzione furono significative, e hanno sicuramente prodotto degli effetti, come anche nel caso della forte reazione americana alla decisione del governo giallo-verde di firmare il memorandum con la Cina sulla Nuova Via della Seta nel 2019, che regalò a Pechino una vittoria diplomatica importante.

Insomma, dai tempi della Dc e del Psi fino ai giorni d’oggi, l’Italia ha sempre cercato di mantenere una linea un po’ indipendente, pur rimanendo un membro fedele dell’Alleanza atlantica. Ha preso sicuramente degli abbagli, e si è aperta alla critica di mettere i propri interessi economici davanti alle posizioni di principio, ma è indubbio che questa tendenza abbia offerto al Paese un ruolo particolare, non senza qualche vantaggio nei rapporti internazionali.

Nella crisi attuale, dopo l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, la situazione sembra diversa. Insieme alla Germania – nota per la propria “Ostpolitik” verso l’Unione Sovietica – la resistenza alle misure economiche forti contro la Russia è durata molto poco, ed ora l’Italia si trova pienamente allineata con una Nato nuovamente compatta nel contrastare la guerra di Putin, lasciando indietro i dubbi e le divisioni generati durante gli anni di Donald Trump.

Per qualcuno si tratta di una vittoria, un momento importante in cui il governo di Roma ha abbandonato le proprie velleità verso una delle potenze autoritarie che rappresenta una sfida al mondo democratico. D’altronde al suo arrivo a Palazzo Chigi Mario Draghi è stato molto chiaro nel dichiarare la sua fede atlantista, con la chiara intenzione di marcare una differenza netta rispetto al suo predecessore Giuseppe Conte.

Ma la domanda va posta: quanto è utile per l’Italia sposare pienamente la linea della fazione dei falchi negli Usa e in Europa, e abbandonare quella vocazione al dialogo verso i “nemici” che aveva perseguito per decenni? Si è passati rapidamente dalla speranza di sfruttare l’autorevolezza di Mario Draghi per conquistare un peso maggiore a livello internazionale, a pagare il prezzo di quell’autorevolezza, il prezzo di essere pronti ad accettare la linea più dura pur di dimostrare la propria fedeltà, non volendo tornare ad alimentare i dubbi che esistevano in passato. Il posto dell’Italia è in occidente, come attore importante in Europa e partner degli Stati Uniti; ma occorre chiedersi come il Paese possa non semplicemente appiattirsi sulle posizioni dei suoi alleati più grandi, e mantenere quella specificità – a volte utile per se stessa e anche per gli altri – che ha caratterizzato la sua storia recente.

– Newsletter Transatlantico N. 14-2022

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