Trump rally

Biden e il paradosso populista

January 24, 2022

Politica

– di Andrew Spannaus –

Il gradimento di Joe Biden è attualmente del 41% circa, tra i peggiori della storia recente, considerando che è passato appena un anno dall’insediamento. La consueta “luna di miele” è durata poco per l’attuale inquilino della Casa Bianca, in quanto il pubblico ha cominciato a perdere fiducia in lui già dall’estate dell’anno scorso. I motivi principali sono noti: il ritorno del Covid, il pasticcio del ritiro dall’Afghanistan, e i problemi economici legati ai colli di bottiglia nelle catene di valore con il conseguente aumento dei prezzi al consumo. E’ necessario, però, esaminare più a fondo i problemi di Biden, in quanto è arrivato al potere subito dopo la presidenza sicuramente più controversa degli ultimi decenni – quella di Donald Trump – con l’obiettivo di riportare il paese alla normalità e ricostruire una qualche sembianza di unità politica.

In principio Biden aveva fondato la propria campagna su una promessa semplice: respingere la figura e le politiche offensive di Donald Trump, in quanto al di sotto del livello di decenza e competenza necessario per guidare gli Stati Uniti d’America. Posto così, l’obiettivo di Biden ha avuto un impatto significativo, in quanto Trump aveva chiaramente agito fuori dai confini generalmente accettati della politica in molti campi. Ma era anche una rappresentazione superficiale dei problemi del paese; infatti l’ascesa di Trump non era dovuta ai suoi aspetti negativi, ma al fatto di aver sfruttato in modo efficace il risentimento nella popolazione legato a problemi profondi e di lunga data, causati principalmente dalla globalizzazione economica e da un establishment che aveva ignorato le difficoltà di una buona parte della popolazione.

Bisogna riconoscere che Biden stesso ha capito subito che ci voleva molto di più che solo una campagna contro Trump: la grave crisi legata alla pandemia del Covid-19 ha fornito un’ulteriore spinta a rivedere le politiche economiche neoliberali, promuovendo un ruolo maggiore dello stato e tentando di sviluppare nuove forme di politica industriale. Già prima delle elezioni del novembre 2020 il candidato democratico aveva deciso che occorreva concepire un cambiamento di direzione simile a quello attuato durante gli anni Trenta dal presidente Franklin Delano Roosevelt. Per questo ha abbandonato la tendenza più cauta mostrata in buona parte della sua lunga carriera, per porre obiettivi ambiziosi per la sua presidenza.

All’inizio del proprio mandato Biden è riuscito a far passare delle iniziative importanti, come un nuovo pacchetto di stimolo economico e sociale, l’American Rescue Plan, varato nel marzo 2021, e poi il pacchetto da 1,2 mila miliardi di dollari per le infrastrutture, con anche il sostegno di alcuni repubblicani al Congresso. Poi l’agenda democratica si è bloccata, trovando un muro tra i repubblicani, e anche tra alcuni democratici centristi.

L’elemento paradossale in questo processo è il seguente: pensare di perseguire una politica trasformativa per quanto riguarda l’intervento pubblico in economia, e anche la rimodulazione dell’approccio statunitense alle guerre estere, richiede una base di sostegno che va ben oltre il mondo dei repubblicani e democratici tradizionali. Cioè, affrontare i problemi più profondi che hanno permesso la vittoria di Trump significa spingere un’agenda legislativa ambiziosa, che di fatto diventa impossibile se bisogna contare sui politici più centristi, tradizionali, che sono solo contenti di distanziarsi dal “populismo” identificato con Donald Trump.

Trump stesso fa il possibile per ostacolare Biden, e comunque è diventato un problema serio quando non ha accettato la sconfitta nelle elezioni presidenziali del novembre 2020. Ma Trump non è il problema degli Stati Uniti; non basta togliere il cattivo e tornare alla normalità per risolvere le fratture profonde sviluppatesi nel corso di oltre quarant’anni. Per fare quello bisogna rompere con gli errori dell’establishment centrista, rappresentato proprio da quei politici a cui ora Biden si rivolge per avanzare la sua agenda di governo.

Comunque un cambiamento di direzione importante c’è stato negli Stati Uniti. C’è un nuovo consenso nelle istituzioni della necessità di facilitare la ricostruzione di aree cruciali dell’economia industriale, in particolare in ambito tecnologico, come anche un nuovo approccio alla competizione con la Cina, a livello sia economico che militare. Per affrontare i problemi interni, però, Biden ha capito che serve qualcosa in più. Si aspetta che i repubblicani appoggino interventi che andrebbero a favore della classe lavoratrice, ma non trova collaborazione da parte dei repubblicani tradizionali – che pensano solo ad affondare la presidenza Biden per motivi politici – né dall’ala più populista, che respinge l’agenda democratica su basi culturali, dalle esagerazioni del politicamente corretto su questioni razziali e gender, allo scontro aperto con lo stesso Trump, che non rinuncia a portare avanti la sua battaglia per rimanere al centro della scena politica. E’ questo paradosso, la difficoltà di affrontare i problemi profondi evidenziati dal populismo senza riconoscere almeno in parte le ragioni di chi di quel populismo ha beneficiato politicamente, che non permette a Joe Biden di raggiungere i suoi obiettivi, e che deciderà la sua sorte politica nei prossimi mesi.

– Newsletter Transatlantico N. 2-2022

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