Don't look up

Il problema di Don’t Look Up

January 15, 2022

Cultura

Cosa faremmo se si scoprisse che un grosso asteroide stesse per colpire la terra, distruggendo la vita umana? Secondo il nuovo film del regista americano Adam McKay, c’è il rischio che nella società odierna non si ascolterebbero gli scienziati, il sistema dei media e dei social network si perderebbe nelle proprie distrazioni, e pure il mondo politico non sarebbe in grado di reagire oltre agli interessi di brevissimo termine. Anche se il problema diventasse visibile agli occhi di tutti, prevarrebbe la corruzione, la superficialità, il tentativo di approfittarne da parte del mondo del big tech, e nessuno riuscirebbe a prendere abbastanza sul serio la minaccia. 

In parole povere, questo è la trama del nuovo, divertentissimo film “Don’t Look Up”, con un cast di grandi attori come Leonardo di Caprio, Jennifer Lawrence, Jonah Hill e Meryl Streep che ci offre una visione satirica pungente della superficialità dell’America di oggi (chiaramente applicabile anche ad altri paesi).

E’ nata un’ampia discussione pubblica sul film nelle ultime settimane, e molti fanno notare che l’asteroide potrebbe essere considerato una metafora per diverse minacce che incombono sul mondo attuale. Sappiamo dai diretti interessati, però – il regista e alcuni dei protagonisti – che c’è un obiettivo chiaro, quello di parlare della minaccia dei cambiamenti climatici. Infatti il copione è stato scritto prima della pandemia, e in una recente intervista Leonardo di Caprio, che interpreta il professore universitario che denuncia il vero pericolo, ha fatto il diretto paragone tra l’asteroide e l’imminente catastrofe a causa dei cambiamenti climatici, pure affermando che abbiamo appena 10 anni prima del disastro.

Potremmo dire che è solo un film, quindi è normale che si esageri un po’, ma il messaggio è molto diretto: di fronte alla verità scientifica dei dati – concetto ripetuto più volte – non siamo in grado di reagire. I cambiamenti climatici sono come l’asteroide che distruggerà la terra se non agiamo subito, e il tempo per farlo è poco.

E’ proprio così? Regge il messaggio che il riscaldamento globale rappresenta la verità dimostrata con i dati, mentre il motivo per cui non si affronta il problema è la nostra incapacità di vivere nella realtà, tra distrazioni e corruzione?

In realtà il film finisce per fare proprio ciò di cui accusa gli altri: non rispettando i dati, alimenta una visione superficiale del problema tra i media e nella società. Certo, esagera piuttosto che minimizzare, ma è ironico quando chi invoca la realtà dei dati si inciampa proprio su quello stesso punto.

Cerco di spiegare. Il messaggio del film è che i cambiamenti climatici sono come un asteroide che distruggerà la terra. Nel mondo reale le grandi preoccupazioni di oggi si basano su dei modelli climatici che indicano che ci saranno grossi problemi, se andiamo avanti in questo modo. Sulla base di una serie di simulazioni, si afferma che la crescita prevista della temperatura globale porterà ad un aumento dei disastri naturali di vario tipo, la perdita di intere città e nazioni a causa dell’innalzamento del livello del mare, l’impossibilità di vivere in alcune zone, e varie altre conseguenze serie per la vita umana.

Si tratta, però, di un tema molto complesso. I modelli computerizzati rappresentano dei tentativi di capire come funziona il clima, ma non assurgono al livello di “verità scientifica”. La volontà di convincere la gente e i governi a cambiare il nostro modo di vivere porta a molte semplificazioni. Infatti si è ormai creata una narrazione sul clima che si allontana parecchio dai dati, cioè da quanto sappiamo veramente.

Non intendo qui entrare nella discussione sull’affidabilità dei modelli climatici, o le accuse di manipolazione dei dati. Molti scienziati hanno criticato le procedure e le conclusioni dell’IPCC – il Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico delle Nazioni Unite. Ma sicuramente la maggior parte della comunità scientifica prende per buone le conclusioni di questo gruppo internazionale. Il problema più immediato è che c’è un contrasto significativo anche tra quello che scrive questo organo e quello che viene divulgato dal mondo dell’informazione.

L’idea prevalente oggi è che gli eventi atmosferici estremi stanno aumentando sempre di più, e che diventeranno più comuni e più intensi. Ormai qualsiasi tempesta, uragano, incendio, periodo di siccità e ondata di calore viene collegato subito al riscaldamento globale. Ma quando si fa così, si va ben oltre la scienza e i dati reali.

Prendiamo un primo esempio. Nel dicembre del 2021 c’è stato un massiccio tornado nel centro degli Stati Uniti. I tornado di solito non sono considerati come un effetto dei cambiamenti climatici, ma naturalmente molti giornali e televisioni sono corsi subito a cercare un legame.

Dunque, cosa dice il Sesto Rapporto di Valutazione (quello più recente) dell’IPCC in merito ai tornado e il riscaldamento globale? Nel documento del Working Group 1 si afferma che “l’attribuzione di certe classi di tempo estremo (e.g. tornado) va oltre le capacità attuali teoriche e di modellamento. … Come cambieranno i tornado…  è una questione aperta”.

Ecco. Nessun legame conosciuto. Ora andiamo a vedere cosa ha detto il presidente degli Stati Uniti Joe Biden:

“A questo punto non posso dire quale sia l’impatto specifico [dei cambiamenti climatici] su queste tempeste. Chiederò all’Agenzia per la protezione dell’ambiente di indagare. Ma il fatto è che sappiamo che tutto è più intenso quando il clima si riscalda – tutto. E ovviamente ha qualche impatto qui, ma non le posso dare un dato quantitativo in questo caso”.

Quindi il presidente Biden parte dal principio generale – che sappiamo che il riscaldamento globale ha un impatto su tutto – per affermare che ci deve per forza essere un impatto qui, anche se non si può quantificare in questo caso.

Un’opinione non proprio basata sulla verità scientifica.

Un secondo esempio è quello degli uragani. Sull’argomento l’IPCC dice questo: in base ai modelli climatici possiamo ipotizzare una maggiore probabilità di certi tipi di eventi con l’aumento delle temperature. Ma per ora le grandi variazioni naturali non ci permettono di attribuire un evento specifico direttamente agli esseri umani.

Consideriamo il contrasto tra questo approccio di probabilità e incertezza indicato nella lettura dei rapporti dell’IPCC, e la narrazione comune sulla frequenza e l’intensità degli uragani. Non c’è unanimità tra i ricercatori sul metodo per interpretare i dati, ma per quanto riguarda il numero di uragani negli ultimi 100 anni negli Stati Uniti il capo ricercatore del Centro nazionale degli uragani, citato anche dai fact-checker mainstream, dice questo: non c’è alcuna tendenza rilevabile.

E’ un po’ strano sentire questo, quando ad ogni tempesta vediamo scatenarsi la frenesia in merito ai cambiamenti climatici. Certo, c’è anche l’affermazione che gli uragani stiano diventando più intensi. Anche questa tesi è lontana dall’essere accertata, ma non si saprebbe mai ascoltando il telegiornale. Di nuovo, non voglio entrare nei dettagli del dibattito qui, ma io ho guardato ore e ore di dibattiti tra scienziati per capire come funziona la discussione. E una cosa che ho capito di sicuro è che non c’è unanimità. Ci sono modelli, ipotesi, e dati da interpretare. Una conclusione ragionevole sembra essere che è molto probabile che l’attività umana abbia un effetto sul clima, ma è esagerato pensare che la CO2 da sola sia l’interruttore del clima globale, e ancora di più attribuire qualsiasi evento avverso ai cambiamenti climatici. Cioè ci sono diversi fattori che dobbiamo considerare quando si discute scientificamente di quali azioni intraprendere.

L’importanza delle azioni pratiche salta all’occhio proprio nel caso degli uragani. Nel 2005 ci fu uno degli uragani più distruttivi nella storia americana: Hurricane Katrina che ha provocato oltre 1,170 morti nella città di New Orleans, e oltre 1800 complessivi.

Nel 2021 un altro uragano enorme ha colpito New Orleans. I venti massimi erano addirittura più forti di quelli di Katrina, mentre l’estensione della tempesta era minore. Quanti sono stati i morti questa volta? Tre persone nella città di New Orleans! E 69 a livello complessivo, buona parte in stati più a nord dove erano meno preparati.

Come mai questa drastica riduzione da 1.170 a 3 morti con tempeste simili? Perché si sono spesi 14 miliardi di dollari per ricostruire il sistema di argini e pompe di New Orleans dal 2005 ad oggi. Gli investimenti nelle infrastrutture hanno fatto risparmiare tantissimi soldi e vite umane, dimostrando ancora una volta il principio più importante dei disastri naturali: sono catastrofici soprattutto per chi è povero. Anche per questo è praticamente impossibile convincere i paesi in via di sviluppo ad interrompere il proprio processo di crescita, che risulta vitale per la sopravvivenza.

Tornando a Don’t Look Up, occorre riconoscere questo errore nel messaggio del film. Il motivo per cui il mondo non affronta il problema dei cambiamenti climatici non è perché siamo tutti distratti e superficiali e respingiamo la scienza. Sicuramente c’è anche quello nella nostra società, e tutte le critiche alle deformazioni culturali di questi anni meritano di essere discusse. Ma non c’è la certezza della morte del pianeta tra 10 anni se non entriamo in una fase di decrescita. Ci sono problemi ambientali seri da affrontare – come l’inquinamento dei mari, dell’aria, del suolo e del sottosuolo. Questo si può e si deve 14 fare con azioni responsabili, avanzamenti tecnologici e interventi intelligenti che si poggiano effettivamente sui dati che abbiamo; senza farsi prendere dalla frenesia ideologica, che a volte può essere addirittura controproducente.

Lo ha scoperto il New York Times la scorsa settimana, riconoscendo che la decisione – per amore della natura – di smettere di fare manutenzione delle foreste anche con incendi controllati, ha permesso agli incendi di diventare molto peggiori di quanto sarebbero stati altrimenti, nell’Ovest degli Stati Uniti. E’ la stessa dinamica vista in altri paesi come l’Australia, dove gli incendi hanno provocato tante preoccupazioni internazionali, ma pochi ragionamenti sulle misure più semplici da prendere per evitare la loro diffusione. Don’t Look Up è un film molto divertente e pungente come satira in merito alla società odierna, ma in quanto metafora per la crisi climatica soffre dello stesso errore di superficialità di cui accusa gli altri. Forse il regista pensa che la cosa più importante sia comunque di focalizzare le attenzioni sull’imminente disastro climatico, anche con qualche imprecisione. Se questo è il suo obiettivo, però, non deve presentarsi come il depositario della verità scientifica, perché rischia di creare ancora più confusione sul tema, e alla lunga danneggiare proprio quella credibilità della scienza che afferma di voler difendere.

– Newsletter Transatlantico N. 1-2022

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