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Il presidente di JPMorgan Chase chiede scusa al Partito comunista cinese

December 5, 2021

Economia, Notizie

– (free) – di Paolo Balmas –

Jamie Dimon, presidente della banca d’affari americana JPMorgan Chase, ha dovuto chiedere scusa al Partito comunista cinese. Durante un intervento, la scorsa settimana Dimon aveva scherzato sul fatto che quest’anno sia il Partito comunista che JPMorgan compiono cento anni in Cina, asserendo che JPMorgan sarebbe sopravvissuta al Partito. Era il 1921, infatti, quando il Partito veniva fondato a Shanghai e JPMorgan apriva una filiale nella stessa città. Dimon ha spiegato che la battuta si riferiva alla salute di cui gode la sua banca e non allo stato del Partito, tanto meno alla speranza di vederlo scomparire. In due occasioni, nei giorni successivi, ha chiesto pubblicamente scusa. Ci chiediamo se questo non sia il segno dei tempi.

La Cina ha passato gli ultimi due anni ad aprire ulteriormente i suoi mercati finanziari. Una manovra storica per l’integrazione tra la finanza cinese e quella mondiale che è passata piuttosto in sordina a causa dei riflettori puntati sulla crisi socio-economica e politica scaturita dalla diffusione del Covid-19. Mentre una parte dell’economia mondiale si fermava e una parte del mondo si accaniva mediaticamente contro la Cina, alcune imprese coglievano l’attimo (atteso da anni) per investire e aumentare le proprie posizioni nei mercati cinesi. Fra queste vi è JPMorgan.

Una delle novità del mercato finanziario cinese è che le imprese straniere possono adesso controllare e gestire il 100% delle proprie attività in Cina. Prima era necessario un socio con quota locale. JPMorgan ha deciso così di ampliare le proprie attività con un nuovo ciclo di investimenti, incluso l’ampliamento delle proprie risorse umane. Tuttavia, non è dato sapere come e di quanto JPMorgan stia aumentando i suoi affari in Cina, poiché le autorità cinesi permettono alle banche straniere di mantenere segrete le proprie strategie. Cioè, lo stato cinese sa cosa sta accadendo, ma non il pubblico, tanto meno il pubblico occidentale.

La Cina è già da qualche tempo il più grande mercato bancario del mondo, malgrado le sostanziali differenze fra banche cinesi e quelle occidentali, in particolare quelle americane. Tale mercato è destinato a crescere ulteriormente. Le banche straniere in Cina possiedono solo fra il 2 e il 3% dell’intero mercato. Una porzione destinata a crescere grazie anche alle riforme degli ultimi due anni. Le prospettive di crescita sono interessanti soprattutto per banche come JPMorgan, che hanno già un importante livello di integrazione nell’economia cinese. In tale prospettiva, è chiaro che JPMorgan non voglia in nessun modo deteriorare i rapporti che ha costruito con le autorità locali, incluso il Prtito comunista.

Sembra piuttosto fuori luogo confrontare un partito politico con una banca d’affari. Ancora di più se il partito è il comunista cinese e la banca è uno dei simboli del capitalismo “market-based” di marca americana. Il Partito comunista cinese è il partito più grande della storia, con circa 95 milioni di iscritti, con un passato eroico per la maggior parte dei cinesi (quello della Lunga Marcia e della guerra di liberazione contro gli occupanti giapponesi). Il suo leader è il presidente della Repubblica popolare, Xi Jinping, oltretutto comandante delle forze armate. Queste ultime rappresentano l’istituzione che ha il rapporto più intimo e profondo con il Partito.

Si tratta di una struttura, quella del Partito, fortemente elitaria alla quale accedere non è assolutamente facile. Solo nel 2019, il Partito comunista cinese ha ricevuto quasi 20 milioni di domande d’iscrizione. Chiaramente, solo una porzione minima è stata accolta. Ancora più difficile è raggiungere i posti di comando. Non è l’unico partito politico in Cina, come invece troppo spesso si sente dire, ma controlla circa il 70% del parlamento. Impossibile sfidarlo, gode di ottima salute, malgrado le lotte intestine, le fazioni e le coalizioni, per non parlare dei contrasti fra rappresentanti centrali e quelli provinciali.

JPMorgan Chase è una potenza da circa 120 miliardi l’anno e 250 mila dipendenti sparsi nei luoghi chiave della finanza mondiale. Il suo leader, Dimon, è in carica da sedici anni ed è un personaggio ascoltato con attenzione da vari ambienti negli Usa e non solo. Il suo incarico precedente era alla guida della Federal Reserve di New York. Sempre più spesso critica le politiche del governo e commenta la vita politica del suo Paese. Ad esempio, durante le elezioni asserì che avrebbe potuto battere Trump, ma quando gli chiesero perché non facesse politica sul serio, rispose che era troppo tardi per lui (anche se ha dieci anni in meno di Trump). Si può facilmente comprendere quanto si senta sicuro di sè e dell’istituzione che rappresenta.

– di Paolo Balmas – Jamie Dimon, presidente della banca d’affari americana JPMorgan Chase, ha dovuto chiedere scusa al Partito comunista cinese. Durante un intervento, la scorsa settimana Dimon aveva scherzato sul fatto che quest’anno sia il Partito comunista che JPMorgan compiono cento anni in Cina, asserendo che JPMorgan sarebbe sopravvissuta al Partito. Era il 1921, infatti, quando il Partito veniva fondato a Shanghai e JPMorgan apriva una filiale nella stessa città. Dimon ha spiegato che la battuta si riferiva alla salute di cui gode la sua banca e non allo stato del Partito, tanto meno alla speranza di vederlo scomparire. In due occasioni, nei giorni successivi, ha chiesto pubblicamente scusa. Ci chiediamo se questo non sia il segno dei tempi.

La Cina ha passato gli ultimi due anni ad aprire ulteriormente i suoi mercati finanziari. Una manovra storica per l’integrazione tra la finanza cinese e quella mondiale che è passata piuttosto in sordina a causa dei riflettori puntati sulla crisi socio-economica e politica scaturita dalla diffusione del Covid-19. Mentre una parte dell’economia mondiale si fermava e una parte del mondo si accaniva mediaticamente contro la Cina, alcune imprese coglievano l’attimo (atteso da anni) per investire e aumentare le proprie posizioni nei mercati cinesi. Fra queste vi è JPMorgan.

Una delle novità del mercato finanziario cinese è che le imprese straniere possono adesso controllare e gestire il 100% delle proprie attività in Cina. Prima era necessario un socio con quota locale. JPMorgan ha deciso così di ampliare le proprie attività con un nuovo ciclo di investimenti, incluso l’ampliamento delle proprie risorse umane. Tuttavia, non è dato sapere come e di quanto JPMorgan stia aumentando i suoi affari in Cina, poiché le autorità cinesi permettono alle banche straniere di mantenere segrete le proprie strategie. Cioè, lo stato cinese sa cosa sta accadendo, ma non il pubblico, tanto meno il pubblico occidentale.

La Cina è già da qualche tempo il più grande mercato bancario del mondo, malgrado le sostanziali differenze fra banche cinesi e quelle occidentali, in particolare quelle americane. Tale mercato è destinato a crescere ulteriormente. Le banche straniere in Cina possiedono solo fra il 2 e il 3% dell’intero mercato. Una porzione destinata a crescere grazie anche alle riforme degli ultimi due anni. Le prospettive di crescita sono interessanti soprattutto per banche come JPMorgan, che hanno già un importante livello di integrazione nell’economia cinese. In tale prospettiva, è chiaro che JPMorgan non voglia in nessun modo deteriorare i rapporti che ha costruito con le autorità locali, incluso il Prtito comunista.

Sembra piuttosto fuori luogo confrontare un partito politico con una banca d’affari. Ancora di più se il partito è il comunista cinese e la banca è uno dei simboli del capitalismo “market-based” di marca americana. Il Partito comunista cinese è il partito più grande della storia, con circa 95 milioni di iscritti, con un passato eroico per la maggior parte dei cinesi (quello della Lunga Marcia e della guerra di liberazione contro gli occupanti giapponesi). Il suo leader è il presidente della Repubblica popolare, Xi Jinping, oltretutto comandante delle forze armate. Queste ultime rappresentano l’istituzione che ha il rapporto più intimo e profondo con il Partito.

Si tratta di una struttura, quella del Partito, fortemente elitaria alla quale accedere non è assolutamente facile. Solo nel 2019, il Partito comunista cinese ha ricevuto quasi 20 milioni di domande d’iscrizione. Chiaramente, solo una porzione minima è stata accolta. Ancora più difficile è raggiungere i posti di comando. Non è l’unico partito politico in Cina, come invece troppo spesso si sente dire, ma controlla circa il 70% del parlamento. Impossibile sfidarlo, gode di ottima salute, malgrado le lotte intestine, le fazioni e le coalizioni, per non parlare dei contrasti fra rappresentanti centrali e quelli provinciali.

JPMorgan Chase è una potenza da circa 120 miliardi l’anno e 250 mila dipendenti sparsi nei luoghi chiave della finanza mondiale. Il suo leader, Dimon, è in carica da sedici anni ed è un personaggio ascoltato con attenzione da vari ambienti negli Usa e non solo. Il suo incarico precedente era alla guida della Federal Reserve di New York. Sempre più spesso critica le politiche del governo e commenta la vita politica del suo Paese. Ad esempio, durante le elezioni asserì che avrebbe potuto battere Trump, ma quando gli chiesero perché non facesse politica sul serio, rispose che era troppo tardi per lui (anche se ha dieci anni in meno di Trump). Si può facilmente comprendere quanto si senta sicuro di sè e dell’istituzione che rappresenta.

Alcuni osservatori hanno asserito che il futuro di JPMorgan Chase in Cina sarà da ora più difficile. Ma tale giudizio sembra un po’ superficiale. JPMorgan Chase come altre istituzioni finanziarie americane (ad esempio Goldman Sachs) hanno avuto un ruolo chiave nella costruzione del capitalismo cinese. Hanno guidato le grandi imprese di stato cinesi nei mercati mondiali. Hanno aiutato a trasformarle in società quotate in borsa a livello nazionale (Shanghai) e internazionale (Hong Kong e New York). Senza l’aiuto di queste banche, lautamente ricompensate, la Cina non sarebbe quella che è oggi. Tale processo di consulenza e integrazione sta vivendo una nuova fase. Nessuno a Pechino o a Washington, come a Shanghai o a New York, vuole che i rapporti fra JPMorgan Chase e la Cina si raffreddino o si deteriorino. Dimon questa volta ha toccato delle corde sensibili per i cinesi, e qualcuno glielo ha fatto notare. Le sue scuse vanno interpretate in questa ottica. Oppure, si può pensare che Dimon non dica mai nulla con superficialità o per errore, specialmente quando viene registrato. In tal caso, si può immaginare che la battuta e le seguenti scuse non siano state proferite per caso, e che siano un modo, fra altri, per invitare la Cina a ritrovare la fiducia in Wall Street che ha perso negli ultimi sei anni.

– Newsletter Transatlantico N. 36-2021

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