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La qualità del lavoro nell’economia americana secondo la JQI

December 15, 2019

Economia

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L’ultimo rapporto del Bureau of Labor Statistics, l’ufficio federale che compila le statistiche sul lavoro negli Stati Uniti, ha rilevato un incremento di 266 mila posti di lavoro nello scorso mese di novembre. Con questo risultato ampiamente positivo il tasso di disoccupazione è sceso al 3,5%, il livello più basso degli ultimi 50 anni negli Stati Uniti. Guardando a lungo termine, sono più di 10 anni che l’economia americana si espande senza interruzione, anche se la crescita del Pil è più bassa rispetto ad altri periodi di espansione..

Dunque i numeri sembrano decisamente positivi, e per molti si tratta di un fattore fondamentale che non potrà che aiutare Donald Trump nella sua campagna per la rielezione nel 2020. Le paure di una recessione che aleggiavano appena pochi mesi fa si sono allontanate, e Trump stesso ricorda in continuazione che negli ultimi tre anni le condizioni economiche sono migliorate in modo particolare per le minoranze, soprattutto per gli afroamericani e gli ispanici. Inoltre, gli analisti ci dicono che stanno finalmente crescendo anche i salari, dopo molti anni caratterizzati dalla stagnazione.

Questo quadro apparentemente roseo, però, nasconde dei problemi strutturali che continuano ad affliggere l’economia americana, come molte altre economie del mondo occidentale. Infatti se la situazione fosse davvero così positiva non si spiegherebbe il recente successo dei movimenti politici che si concentrano sulle difficoltà per la classe media e bassa, e sull’impatto delle disuguaglianze. Appena tre anni fa Donald Trump ha sfruttato il malcontento dovuto alla perdita del lavoro industriale per battere Hillary Clinton in un’area fondamentale degli Stati Uniti come il Midwest, seppur nel 2016 la disoccupazione fosse già sotto il 5% e anche Barack Obama si vantava della lunga espansione in atto.

Un contributo importante per spiegare i problemi strutturali del mercato del lavoro viene da un nuovo indicatore economico sviluppato negli Stati Uniti: il “US Private Sector Job Quality Index” (JQI), ovvero l’Indice della qualità del lavoro nel settore privato negli Usa, sviluppato da quattro studiosi della Cornell University. Iniziato il mese scorso, il JQI valuta la qualità del lavoro misurando il rapporto tra posti di lavoro “desiderabili”, con stipendi alti e a tempo pieno, e i posti con stipendi più bassi e orari limitati. Seguendo la tendenza da mese in mese, si riesce a capire l’evoluzione del mercato del lavoro americano, con l’obiettivo di aiutare “i politici e i gli attori nei mercati finanziari ad essere maggiormente informati”, come recita il sito dedicato all’iniziativa.

Un recente articolo su Forbes scritto da Steve Denning presenta alcuni degli elementi che aiutano a capire perché nonostante le statistiche apparentemente positive, ci sono ancora dei problemi profondi nell’economia americana, che si farebbe bene a non ignorare. Ne riassumiamo i punti principali qui.

  1. Salari bassi. Nonostante i guadagni recenti, l’aumento della retribuzione nel corso degli ultimi decenni è ancora limitato, e più lento che in passato. La spiegazione data riguarda la composizione della forza lavoro: se buona parte dei lavori che vengono creati sono quelli con redditi bassi, e quindi sul versante basso dell’indice JQI, allora l’aumento degli occupati avrà un effetto limitato sui salari, e quindi anche sulla domanda aggregata.
  1. La bassa partecipazione alla forza lavoro. La proporzione di americani che potrebbero lavorare, ma che non lavorano, è ancora alta. Infatti il livello di partecipazione oggi (63%) è ben lontano dai massimi raggiunti tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio degli anni Duemila (intorno al 67%), e non dà segni di un aumento apprezzabile. La spiegazione data dagli autori del JQI è semplice: i lavori disponibili sono in buona parte pessimi, quindi la gente è poco motivata a tentare di cambiare la propria situazione.
  1. Meno lavoro nelle manifatture. Nel 1970 la percentuale della forza lavoro americana impiegata nel settore manifatturiero era del 23%; oggi è dell’8%. Alcuni economisti liberisti ci dicono, cosa importa? Un lavoro è un lavoro, l’importante è guadagnare. Ma il problema sta proprio qui: “I posti di lavoro persi nella manifattura sono stati sostituiti principalmente da posti di lavoro nei servizi con paghe più basse e meno ore di lavoro”. C’è un chiaro parallelo tra la riduzione della manifattura e il declino della qualità del lavoro.
  1. Il fallimento del tech. In teoria i posti di lavoro nei servizi professionali e tecnici avrebbero dovuto spostare l’economia verso l’alto, con stipendi più alti e maggiore produttività. Però, se è vero che in questi settori si guadagna di più, non basta lontanamente a sostituire la perdita nelle manifatture. La teoria diceva che avremmo lasciato il lavoro manuale ai paesi asiatici, tenendoci le attività più avanzate. In realtà gli asiatici hanno sviluppato appieno la componente manifatturiera – compresa la progettazione e il branding – al punto di dominare il mercato dei beni di consumo.
  1. Lo stallo della produttività. Anche qui si sconta il cambiamento della composizione della forza lavoro. Più gente lavora nei settori dei servizi di basso livello, meno crescita si vede nella produttività, per forza.
  1. I settori dominanti. Il rapporto del JQI sottolinea un fattore che dovrebbe essere evidente, ma che molti preferiscono non vedere. Per quanto siano importanti le grandi società come Apple e Google, i settori più corposi dell’economia sono quelli che pagano poco, come l’alberghiero e i servizi per il tempo libero, in cui non solo i salari sono bassi, ma di media un addetto riesce a lavorare appena 26 ore a settimana, il che significa anche che non ha diritto ai benefits come l’assicurazione sanitaria.

In conclusione, Denning ricorda il commento di Michael Boskin, presidente del Council of Economic Advisors durante la presidenza di George H.W. Bush (padre): “Non fa alcuna differenza se un paese produce i microchip o le patatine”. In realtà fa una grande differenza, e non solo sulla salute dei lavoratori come ricordano gli autori del JQI. La qualità del lavoro è un fattore fondamentale, perché riflette il benessere economico dei lavoratori, che in questi decenni hanno perso parecchio in termini di sicurezza e anche di dignità.

– Newsletter Transatlantico N. 44-2019

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