Bannon

“Globalismo” diventa una parolaccia

March 15, 2018

Notizie, Politica

(free) – Nell’annunciare le dimissioni di Gary Cohn dalla carica di Capo consigliere economico nella propria Amministrazione, il Presidente americano Donald Trump ha dichiarato: “E’ un globalista, ma mi piace lo stesso. E’ seriamente un globalista, non ci sono dubbi; ma sapete una cosa, a modo suo è anche un nazionalista perché ama il nostro paese”.

Non è un segreto che Cohn si è dimesso a causa del suo dissenso dalla politica dei dazi appena annunciati dal presidente sull’acciaio e sull’alluminio. Cohn è un ex banchiere, uno degli uomini di punta della cosiddetta “fazione Goldman Sachs” nell’Amministrazione, e quindi lontano dal nazionalismo economico proposto durante la campagna elettorale da Trump, e da personaggi come l’ex stratega della Casa Bianca Steve Bannon.

Si dice che Cohn avesse già pensato alle dimissioni dopo le dichiarazioni equivoche di Trump in merito alle manifestazioni di estremismo avvenute a Charlottesville, in Virginia, nel settembre dell’anno scorso; per Cohn, ebreo, la mancanza di una condanna netta verso chi si professa neonazista era preoccupante. E’ rimasto al suo posto però, fino a quando il presidente non ha toccato un tema evidentemente ancora più forte per lui, il liberismo.

Chi il giorno dopo le dimissioni di Cohn ha letto il resoconto dell’HuffPost, uno dei siti di notizie più guardati negli Stati Uniti, ha trovato una condanna della parola “globalista”, contribuendo ad una nuova campagna per considerare il termine un’espressione del razzismo utilizzata principalmente dagli estremisti di destra.

Ecco quanto scritto dall’HuffPost:

“Mentre si potrebbe affermare che il commento riguardi le posizioni anti-libero scambio di Cohn, che stridono con quelle di Trump, la parola viene sempre più utilizzata da membri antisemiti e neonazisti del cosiddetto movimento “alt-right” per la supremazia bianca”.

“Un glossario del linguaggio estremista pubblicato dal New York Times colloca ‘globalismo’ tra termini come ‘alt-right’, ‘antifa’ e ‘cuck’.

Citando sempre il New York Times, i giornalisti scrivono: “Per la destra estrema, il globalismo ha da lungo tempo delle connotazioni xenofobe, anti-immigrazione e antisemite. Si riferisce ad una visione del mondo complottista: una cricca a cui piacciono i confini aperti, la diversità e stati nazionali deboli, a cui piacciono poco le persone bianche, il cristianesimo e la cultura tradizionale del proprio paese”.

Perfetto. Come hanno fatto per tutta la campagna elettorale del 2016, e anche nel primo anno dell’Amministrazione Trump, i grandi media scelgono di sottolineare gli aspetti peggiori della critica alla globalizzazione, anche quando non sono presenti. Nel decidere di bollare chiunque utilizzi certe parole specifiche come estremista, si cerca di delegittimare l’opposizione alle politiche economiche che sono alla base della rivolta degli elettori che ha portato le forze anti-sistema a guadagnare sostegno in tutto il mondo occidentale, e anche ad andare al governo in alcuni paesi. Non importa se gli outsider fanno leva su problemi veri come lo svuotamento della classe media o l’aumento della povertà e della precarietà; l’imperativo è di dimostrare che l’opposizione alla globalizzazione è uguale a razzismo, sempre e comunque.

In questo modo però, i media dell’“establishment” – altra parola che forse sarà bandita tra poco – raddoppiano sugli errori del passato: invece di discutere, e poi affrontare, seriamente i problemi, si tenta di restringere il dibattito solo alle “persone serie”. I risultati di questo metodo sono davanti ai nostri occhi, e non sono di grande successo.

Esiste la xenofobia, esiste il razzismo, esiste il sessismo. Ma tacciare di antisemitismo una persona perché attacca i banchieri – per esempio – mostra solo che non si è disposti, o in grado, di capire a fondo i problemi del nostro tempo.

Forse qualcuno pensa che bandire le parole come “globalismo” renderà inaccettabile criticare la globalizzazione. E’ più probabile che aumenterà ancora di più l’impressione tra la popolazione di un élite chiusa e incapace di ascoltare la gente.

– Newsletter Transatlantico N. 9-2018

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