Modi Jinping

Tensioni fra India, Pakistan e Cina

September 28, 2018

Economia, Strategia

(free) – di Paolo Balmas –

Dopo l’annunciata apertura del China-Pakistan Economic Corridor (CPEC) a potenziali investimenti da parte di paesi terzi, la scorsa settimana, l’Arabia Saudita è stata invitata dal Pakistan a divenire il nuovo investitore strategico di una delle sezioni fondamentali della Belt and Road Initiative (BRI). Fonti istituzionali di Islamabad hanno confermato che la Cina è stata informata, sin dal principio, del dialogo con Riyadh e hanno rivelato che durante la prima settimana di ottobre il Ministro saudita della Finanza e dell’Energia, si recherà in visita in Pakistan. Solo allora sarà chiarito in quali progetti specifici e con quanto capitale l’Arabia è intenzionata a entrare nel programma del CPEC.

L’apertura del Corridoio cino-pakistano a nuovi investitori aveva come obiettivo teorico, fra gli altri, dimostrare all’India che la BRI è per sua natura un programma inclusivo, oltre a un potenziale strumento per mitigare i brutti rapporti fra Islamabad e Nuova Delhi. Ma il tentativo, almeno per il momento, non ha sortito gli effetti sperati. Infatti, il governo del primo ministro indiano, Narendra Modi, ha cancellato l’incontro con la controparte pakistana che avrebbe dovuto aver luogo durante l’Assemblea generale delle Nazioni Unite questa settimana. Il rifiuto è stato ampiamente criticato, anche in India, come un errore diplomatico da parte di Modi, che ha così rallentato il tentativo di fare un passo concreto avanti nel processo di pace fra India e Pakistan.

In India permane una convinzione generale di essere in una fase di sviluppo più avanzata rispetto al vicino Pakistan. Quindi ogni tipo di distensione non potrebbe che giovare solo a Islamabad e portare poco profitto a Nuova Delhi. Tuttavia, in una prospettiva più ampia, il permanente contrasto fra le due nazioni asiatiche si ripercuote sull’integrazione dei mercati e sulle potenzialità che offre la BRI: nel breve termine, in relazione agli investimenti; nel medio e lungo termine, in relazione all’apertura di nuove rotte commerciali capaci di unire l’Asia all’Africa attraverso la penisola arabica e l’Oceano Indiano.

L’ingresso dell’Arabia Saudita nel progetto del CPEC, inoltre, acuisce i contrasti fra India e Pakistan anche sul futuro delle nuove rotte commerciali, che siano o meno parte della BRI. Mentre la Cina ha scelto il Pakistan per uno dei suoi pilastri infrastrutturali, l’India si è rivolta all’Iran. Con l’uscita degli Usa dal patto sul nucleare iraniano e il ripristino delle sanzioni contro Teheran, il futuro degli investimenti indiani nella Repubblica islamica diviene ancora più incerto. Forse non è un caso che Nuova Delhi, proprio in questi giorni, ha messo a punto un piano per acquistare il petrolio iraniano in rupie, senza utilizzare il dollaro, a partire dal prossimo novembre quando le sanzioni contro Teheran rientreranno in forza. Alcune raffinerie in India, che importano il greggio dall’Iran, sono soggette a sanzioni.

Le critiche contro Narendra Modi si sono amplificate a causa di un’accusa di corruzione relativa all’acquisto, nel 2016, di 36 aerei da guerra Rafale della francese Dassault Aviation, al costo di 8,7 miliardi di dollari. L’opposizione, che ha indicato il prezzo come troppo elevato, ha chiesto le dimissioni e, sebbene non ci siano i presupposti necessari per un reale crollo del governo indiano, Modi dovrà affrontare sicuramente una rinnovata opposizione in Parlamento per i suoi ultimi progetti di legge. Alle elezioni del 2019 incontrerà maggiori difficoltà rispetto a quanto previsto fino a poche settimane fa.

Infine, sullo sfondo si intravedono crescenti contrasti anche fra Cina e Pakistan, malgrado la loro alleanza strategica nel progetto del CPEC. Il governo di Islamabad ha dichiarato di essere preoccupato per il futuro dei cittadini uiguri, circa dodici milioni di musulmani, della provincia cinese dello Xinjiang, a causa delle politiche del governo centrale cinese nella regione occidentale. Da parte sua Pechino è preoccupata per le migliaia di uiguri che hanno preso e stanno ancora prendendo parte ai combattimenti in Siria e in Iraq. Questi potrebbero, in futuro, dopo il loro rientro, rappresentare una minaccia alla sicurezza cinese, sia svolgendo attacchi terroristici che potenziali attività insurrezionali.

– Newsletter Transatlantico N. 31-2018

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