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Trump all’Onu: tra Westfalia e i neocon

September 22, 2017

Politica, Strategia

(free) – di Andrew Spannaus –

Il primo discorso di Donald Trump all’assemblea generale delle Nazioni Unite ha provocato forti reazioni in tutto il mondo. Molti si sono concentrati sulle parole di Trump in merito alla Corea del Nord, quando ha detto che se gli Stati Uniti saranno costretti a difendersi, l’unica possibilità sarà di “distruggere totalmente” il paese. Questa affermazione, insieme alle parole forti usate anche verso l’Iran e il Venezuela, hanno dato la sensazione di una svolta molto aggressiva nell’approccio di Trump, a dispetto delle sue promesse durante la campagna elettorale di fare meno guerre e abbandonare la modalità del cambiamento di regime.

Tuttavia, prima di arrivare alle minacce, il presidente ha passato parecchio tempo ad esporre la sua visione del mondo basata sulla sovranità nazionale, dipingendo un quadro che richiama i principi del Trattato di Westfalia.

Trump ha voluto partire dal noto slogan “America First”, e questa volta l’ha spiegato in modo più chiaro che in passato, tentando di presentare una visione complessiva del suo pensiero nelle relazioni internazionali. Il suo bersaglio, mai dichiarato apertamente però, era chiaramente la visione cosiddetta “globalista”, cioè di istitizioni sovrannazionali che puntano all’egemonia dei loro valori e interessi, di fronte ai quali la sovranità delle singole nazioni deve passare in secondo piano.

Trump ha cominciato citando il Piano Marshall e le origini delle Nazioni Unite. Ha usato le parole di Harry Truman per dire che non c’è contraddizione tra la cooperazione internazionale e la sovranità: “Il successo delle Nazioni Unite dipende dalla forza indipendente dei suoi membri”.

Trump ha poi continuato: “Non ci aspettiamo che paesi diversi condividano le stesse culture, tradizioni, o anche sistemi di governo. Ma ci aspettiamo che tutte le nazioni difendano questi due doveri sovrani essenziali: rispettare gli interessi del proprio popolo e anche i diritti di ogni altra nazione sovrana”.

L’America, ha dichiarato il presidente, “non intende imporre a nessuno il proprio modo di vivere”; piuttosto lavorerà per migliorare la vita dei propri cittadini, come i leader di ogni altro paese devono pensare prima ai propri cittadini, ma anche lavorare in armonia per creare un mondo più pacifico.

Trump ha concluso con parole che hanno sorpreso per la loro chiarezza, “lo stato nazionale rimane il veicolo migliore per innalzare la condizione umana”.

Questa visione della sovranità, oltre ad essere decisamente fuori moda nel mondo globalizzato degli ultimi decenni, è coerente con la linea espressa da Trump dall’inizio della sua entrata in politica nel 2015: no all’ingerenza umanitaria, e no alle guerre per il cambiamento di regime.

Dopo questa dichiarazione di principio però, il presidente ha cambiato rotta, sferrando una serie di critiche a nazioni che considera stati canaglia, perfettamente in linea con la visione neoconservatrice di utilizzare le minacce e la forza per ottenere i cambiamenti desiderati. Così Trump è partito con la “distruzione” della Corea del Nord, ha proseguito con le consuete esagerazioni sul ruolo dell’Iran, e ha concluso ventilando “ulteriori azioni” se il governo venezuelano dovesse continuare nella sua vena autoritaria. Il presidente ha perfino tentato di collegare queste minacce alle precedenti dichiarazioni di principio, affermando che “il nostro rispetto per la sovranità è anche un appello all’azione”, andando vicino all’idea che certi governi sarebbero da sostituire nel nome della libertà e della democrazia.

Non sorprende che questa parte del discorso di Trump è piaciuto parecchio ad alcuni dei personaggi politici che spingono ancora le istanze neocon di attaccare, direttamente o indirettamente, tutti quei governi che non rispondono ai canoni di democrazia definiti proprio dai neocon. Così Benjamin Netanyahu si è dimostrato molto contento e ha elogiato il presidente, affermando di non aver mai sentito un discorso così coraggioso all’Onu. John Bolton, uno dei repubblicani più aggressivi dell’Amministrazione Bush, ha celebrato gli attacchi di Trump alla Corea del Nord e all’Iran. E Mitt Romney, considerato un repubblicano più moderato, si è congratulato con Trump per il suo discorso forte che ha sfidato le altre nazioni ad “affrontare le sfide globali”.

Come succede spesso in politica, i sostenitori e i detrattori del presidente si sono concentrati subito su aspetti molto diversi del discorso pronunciato all’Onu. Con un intervento di questo tipo Trump sembra infatti aver espresso allo stesso tempo due punti di vista contrastanti. La chiara esposizione di una visione di stati nazionali sovrani come la base del benessere e della cooperazione fa pensare che questa Amministrazione potrebbe in effetti impostare un approccio diverso rispetto agli anni recenti. Dall’altra parte le minacce e l’apparente chiusura alla diplomazia sembrano indicare che il Trump della campagna elettorale non c’è più, trovandosi ora in linea con un establishment che non intende permettergli un cambiamento così netto. Per ora quelle di Trump sono solo parole, ma non si può negare l’effetto che parole di questo tipo possono avere sulle strategie degli avversari e anche dei propri alleati.

– Newsletter Transatlantico N. 40-2017

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