salman

Focus su Arabia Saudita e Iran

January 8, 2016

Strategia

– di Andrew Spannaus e Paolo Balmas –

  • La delicata situazione diplomatica
  • La trappola tesa dai sauditi
  • Dissidi tra gli Usa e l’Arabia Saudita
  • La questione degli armamenti sullo sfondo del confronto arabo-iraniano
  • La posizione cinese
  • L’importanza del Pakistan
  • L’Iran spedisce l’uranio in Russia
  • La degenerazione del conflitto in Yemen

I cambiamenti negli equilibri strategici in Medio Oriente, legati in modo particolare alla rivalità tra l’Iran e l’Arabia Saudita, sono un tema che Transatlantico segue con attenzione da molto tempo. Dall’inizio della nostra attività abbiamo messo i riflettori sul potenziale riallineamento dei rapporti occidentali nella regione in seguito alla volontà dell’Amministrazione Obama di voltare pagina nei confronti dell’Iran, perseguendo e infine concludendo l’accordo sul programma nucleare firmato dal P5+1 e dai rappresentanti iraniani a Vienna il 14 luglio 2015.

Quest’intesa è venuta a simboleggiare un potenziale cambiamento che piace poco ad una parte delle istituzioni occidentali, e anche ad altri attori nello stesso Medio Oriente: primo tra questi è l’Arabia Saudita, paese che da decenni rappresenta il principale alleato della Gran Bretagna e degli Stati Uniti nell’area, e che ha fatto dello scambio petrolio-armi la colonna portante della sua stabilità.

Nello stesso arco di tempo l’Arabia Saudita ha finanziato l’espansione del jihadismo – altro tema caro a Transatlantico – con effetti devastanti nel periodo recente. Le attività di Al-Qaeda e ora dell’ISIS sono diventate il problema principale per l’Occidente, e il sostegno saudita (e di altri paesi come il Qatar e la Turchia) non è più argomento trattato solo dagli specialisti. La situazione creata dopo le operazioni di ‘cambiamento di regime’ nella regione ha portato – a volte con l’incoraggiamento esplicito di attori esterni – all’esplosione di questa contraddizione. Di conseguenza ora si assiste ad un movimento verso la collaborazione con paesi come la Russia e l’ Iran nella ricerca della stabilità.

Questa nuova prospettiva potrebbe cambiare significativamente le dinamiche nella regione, e non a caso i due paesi si stanno muovendo per rafforzare le rispettive posizioni. Il caso scoppiato tra l’Arabia Saudita e l’Iran in questi giorni a seguito dell’esecuzione dell’imam sciita Nimr al-Nimr va inquadrato in questo contesto, come parte della reazione dei paesi coinvolti alla possibilità di un cambiamento negli equilibri di potere nel Medio Oriente. In questa ottica presentiamo alcune notizie legate allo scontro di questi giorni, per approfondire le ragioni dello stesso e le conseguenze che potrà avere a livello sia regionale che internazionale.

La delicata situazione diplomatica

Nelle ultime ore molti paesi che aderiscono alla coalizione guidata dall’Arabia Saudita hanno richiamato i propri rappresentanti in Iran. La Repubblica islamica sta subendo un tentativo di isolamento da parte dei paesi sunniti. Si assiste, quindi, all’inasprimento del confronto che fino a pochi giorni fa era rimasto sullo sfondo dei conflitti civili in Siria e in Yemen.

Oltre ai paesi del Consiglio di Cooperazione del Golfo, anche il Sudan ha assunto la medesima posizione. Ma le dichiarazioni più nette sono giunte dall’Egitto. In seguito alla reazione all’esecuzione dei 47 condannati in Arabia Saudita, sfociata nell’attacco all’ambasciata saudita a Teheran, il governo egiziano ha ritirato l’ambasciata in Iran e ha sottolineato che la sicurezza nazionale saudita è parte integrante della propria e viceversa.

Mentre si irrigidiscono le posizioni di sciiti e sunniti, la Russia si propone come mediatrice fra le parti e invita i rappresentanti di Iran e Arabia Saudita a Mosca per un confronto diretto e aperto.

Trovare una soluzione diplomatica immediata alla situazione consisterebbe in una vittoria per Mosca che accrescerebbe la posizione internazionale della Russia, già impegnata nella transizione in Siria del governo di Bashar al-Assad. Con ogni probabilità non le verrà concesso un successo di tale importanza che le donerebbe un prestigio non apprezzato né voluto da molti.


La trappola tesa dai sauditi

L’Arabia Saudita era chiaramente intenzionata a provocare una reazione da parte dell’Iran. Con l’esecuzione di al-Nimr i sauditi sapevano che gli iraniani non potevano non rispondere. Come da copione un gruppo di dimostranti ha messo a fuoco l’Ambasciata saudita a Teheran, alzando il livello dello scontro e portando ad una serie di dichiarazioni e ritorsioni diplomatiche che stanno coinvolgendo anche altri paesi.

Il presidente iraniano Rouhani ha condannato le violenze contro le sedi diplomatiche, ma resta il fatto che le forze dell’ordine non le hanno fermate. Questa reazione rafforza la posizione dell’ala dura della politica iraniana, quella che si oppone all’accordo sul nucleare e all’apertura verso l’Occidente. Si tratta dei conservatori e i loro sostenitori che non temono un aumento della conflittualità nella regione, anzi lo caldeggiano.

Se questa fazione riuscisse a guidare la risposta del paese alla crisi apertasi con l’Arabia Saudita, si rischierebbe di vanificare tutti gli sforzi degli ultimi anni. Finora le accuse di interferenze iraniane nello Yemen, per prendere un esempio, sono state molto esagerate; se ora dovessero diventare una realtà i sauditi potrebbero esercitare più pressioni sull’alleato americano. Lo stesso varrebbe se l’Iran dovesse aumentare le attività in Siria contro i gruppi sostenuti dai sauditi. L’Occidente sarebbe spinto a scegliere una parte, abbandonando di fatto la premessa per i negoziati in corso per trovare una soluzione politica alla crisi siriana.

Secondo fonti della Casa Bianca citate da Trita Parsi, presidente della National Iranian American Council, il presidente Barack Obama ha dovuto telefonare di persona al Re Salman per convincerlo a mandare dei rappresentanti alle discussioni a Vienna sulla Siria. Ora se la Casa Bianca si trova sotto pressione per sostenere l’Arabia Saudita in una crescente guerra per procura contro l’Iran, la svolta verso una politica della stabilità si potrebbe interrompere prima di aver prodotto dei cambiamenti significativi.

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