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Cosa rischia di perdere la Colombia con il No del referendum

October 6, 2016

Notizie, Politica

(free) – di Paolo Balmas –

La scorsa domenica 2 ottobre 2016, in Colombia si è tenuto un referendum affinché la popolazione approvasse o meno l’accordo Governo-Farc, ovvero la fine delle ostilità interne fra le forze armate nazionali e le Forze armate rivoluzionarie della Colombia, più note come Farc. Dopo 52 anni di guerriglia e circa 260.000 vittime, in modo sorprendente, ha vinto il No.

La Colombia soffre ancora dell’idea che nel tempo si è sedimentata nell’immaginario comune: un paese condizionato dai narcos, origine dei mali procurati dal traffico di cocaina; un paese pericoloso, che vive in uno stato perenne di guerriglia (almeno in alcune regioni), sulla soglia dell’insurrezione o, peggio, della guerra civile.

Tuttavia, ammesso che sia esistito un tempo in cui era solo questo, la Colombia è cambiata. Oggi è considerata una delle economie più aperte del continente sudamericano e gli investitori sono attratti dal suo sviluppo. Bogotá è la seconda città del Sud America per vendite al dettaglio di beni di lusso. Un risultato strettamente connesso alla recente e veloce crescita economica.

Il piano nazionale per lo sviluppo delle infrastrutture rende bene l’idea delle potenzialità del paese. Saranno stanziati, fino al 2035, 70 miliardi di dollari. L’obiettivo è di realizzare 12.500 km di strade e 1.600 km di ferrovie; inoltre, si intende migliorare la navigazione fluviale, per circa 5.000 km e fra i progetti ci sono l’ampliamento di 31 aeroporti e dei maggiori porti del paese.

Il principale partner europeo per le importazioni è la Germania, che possiede una quota di mercato del 4,1%, equivalente a circa 2,5 miliardi di dollari. L’Italia, invece, esporta quasi un miliardo di merci e occupa una porzione di mercato del 1,6%.

Il No del referendum di domenica rischia di inibire, in parte, l’espansione dell’economia colombiana e di ridurre l’attrattività del paese.

Il voto colombiano rappresenta il secondo risultato di un referendum (l’altro è la Brexit), tenuto nel 2016, che lascia spiazzati gli osservatori e, soprattutto, le aspettative del pubblico internazionale. Lo strumento della democrazia diretta ha portato di nuovo a un risultato paradossale, che esalta la chiusura e la separazione piuttosto che l’integrazione.

– Newsletter Transatlantico N. 67-2016

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