Responsabilità  e coraggio nelle istituzioni

January 11, 2014

Politica, Storia

Nel suo recente libro “Una lunga trattativa” (Chiarelettere, giugno 2013) Giovanni Fasanella analizza i rapporti tra stato e mafia in Italia dall’unità alla seconda Repubblica. Nel corso di un resoconto delle discussioni tra Francesco Cossiga ed esponenti del Pci subito dopo la caduta del muro di Berlino presenta un ritratto di Giorgio Napolitano che fa riflettere sul ruolo degli uomini politici nell’interfacciarsi con i poteri internazionali. Dopo aver descritto lo stato dei rapporti tra le due forze politiche Fasanella passa all’analisi di “Napolitano, il comunista anglosassone”. Seguono alcuni stralci della presentazione dell’autore. (Si noti che la ricostruzione di Fasanella si basa su documenti originali, trovati per esempio negli archivi di stato in Gran Bretagna, e su interviste con gli stessi protagonisti)

“Cossiga trovava in Napolitano un interlocutore assai più “ricettivo” di Violante. […]
si era formato durante il secondo conflitto bellico negli ambienti politico-intellettuali napoletani legati al Pwb (Psychological warfare branch), la sezione propaganda e guerra psicologica dei servizi segreti alleati. E anche nei decenni successivi aveva mantenuto un legame speciale con il mondo anglosassone, garantendo i contatti del vertice Pci con Londra e Washington…”

Fasanella poi riporta un’intervista concessa da Napolitano ad Ezio Mauro di Repubblica un anno fa, in cui si parla del rapporto con Gianni Agnelli:
“Ricordo inviti a cena a casa sua, a Roma e talvolta a Torino, anche con ospiti stranieri che voleva mi conoscessero, e che voleva farmi incontrare… … e in particolare Henry Kissinger. Ma non solo. Una volta che ero a Torino come presidente della Camera, ad esempio, mi chiese di raggiungerlo per una colazione con Margaret Thatcher”.

Il ritratto di Napolitano si conclude parlando della sua “ammirazione per il Regno Unito”: “Erano talmente stretti i legami di Napolitano con il mondo anglosassone che l’ambasciatore britannico a Roma amava intrattenersi spesso a colazione con lui per lunghe conversazioni sulla situazione italiana, e in particolare sulla politica del Pci”.
 
Dunque Napolitano “il comunista anglosassone”, una di quelle figure nelle istituzioni italiane che si interfacciano con l’establishment internazionale, che rappresentano una sorta di tramite per i poteri di alto livello. Non è una novità e nemmeno uno scandalo che ci siano persone di questo tipo; la questione è se nello svolgere questo ruolo tali figure facciano gli interessi veri del proprio paese, o finiscano per essere rappresentanti di un sistema con ben altri obiettivi.

Questa domanda è da porre per esempio in un altro caso trattato da Fasanella nel libro, quello dell’assassinio di Aldo Moro, dopo l’annuncio della proposta  di portare il Pci dentro l’area di governo attraverso il “compromesso storico”. Considerando la situazione italiana fin dagli anni Quaranta, in cui la maggiore preoccupazione tra le potenze occidentali era la possibilità di un’invasione sovietica dell’Europa, un passo verso l’inclusione nelle istituzioni governative del partito comunista più grande dell’occidente aveva provocato…
“l’allarme internazionale… al massimo livello. Quello che stava accadendo nel nostro paese con il riavvicinamento tra Dc e Pci tradiva la dottrina delle potenze vincitrici della Seconda guerra mondiale, e in particolare quella di Londra, elaborata già a partire dal 1943, subito dopo lo sbarco alleato in Sicilia. L’obiettivo di Londra era stato fissato con estrema chiarezza proprio in quell’anno, come dimostra un documento segreto del governo britannico: “I nostri piani prevedono la conquista assoluta dell’Italia”. E nel novembre del 1945, sette mesi dopo la fine della guerra, Winston Churchill, con la sua consueta brutalità, aveva spiegato all’”ambasciatore” a Londra di Pio XII qual era il limite che il nostro paese non avrebbe mai dovuto superare: “L’unica cosa che mancherà all’Italia è una totale libertà politica”. Quel limite, che bloccava il sistema politico italiano impedendo ai comunisti l’accesso al governo, stava invece per essere superato nella prima metà degli anni Settanta”.
(ci sono varie note che rimandano al libro “Il golpe inglese” di Fasanella e M.J. Cereghino, Chiarelettere, Milano 2011)

Senza entrare tanto nei dettagli Fasanella inquadra il delitto Moro in questo contesto, puntando il dito verso le forze che avrebbero potuto manipolare un’organizzazione terroristica “a proprio vantaggio” per ottenere risultati strategici.
Diventa chiaro che per Gran Bretagna e Usa non era ancora tempo per una svolta del tipo progettata da Moro. E di conseguenza, per ricostruire il filo della vicenda occorre fare riferimento a questa situazione, in cui per molti anni numerose strutture ufficiali e segrete furono utilizzate per garantire la linea anti-comunista in Italia, comprese reti legate a Gladio e anche alla mafia.

Nel corso degli anni ci sono state testimonianze di figure istituzionali che hanno confermato la sensazione che l’epilogo del caso Moro fosse stato già scritto in anticipo, e che le pressioni su persone in posizioni di potere era tale che in sostanza si poteva solo accettare questa realtà. La quale ci porta alla questione della responsabilità tra gli uomini delle istituzioni, cioè se i garanti della stabilità e l’affidabilità in Italia rispetto alle potenze internazionali fanno bene ad agire difatto come agenti di una certa élite, oppure se in questo ruolo vanno contro i veri interessi dell’Italia.
Non si intende qui dare un giudizio specifico sull’operato di Napolitano, Cossiga o altri in quegli anni, e tantomeno in merito al caso Moro; richiederebbe un’analisi più approfondita. Ed è chiaro che gli eventi non avvengono in un vuoto, chi vive e agisce in Italia non può prescindere dal contesto internazionale, non si poteva agire senza tenere conto della Guerra Fredda. Ma si può e si deve ragionare sul contesto stesso e sulle sue implicazioni, soprattutto per capire se ci sono forze che vogliono manipolare la situazione per favorire interessi che non coincidono con quelli delle rispettive nazioni. Se la risposta è sì, il vero statista dovrebbe mostrare il coraggio di cercare di influenzare la strategia, invece che subirla.
Nel caso di Moro significa chiedersi se davvero l’entrata del Pci nell’area del governo avrebbe aperto la porta ad un invasione sovietica dell’Europa occidentale, o comunque ad una qualche perdita di controllo dell’Italia a favore del blocco del Patto di Varsavia.
E per contro, quali vantaggi avrebbe portato il compresso storico all’Italia in termini politici e sociali? Sono domande che spesso vengono declassate o ignorate nei calcoli strategici, quando viene fissato un quadro generale della situazione che deve avere la precedenza rispetto a tutte le altre considerazioni.
Ci sono numerosi altri casi nella storia dell’Italia che portano a domande di questo tipo, dal ruolo di Enrico Mattei ai cambiamenti politici degli anni Novanta, e naturalmente ci sono casi analoghi in altri paesi, basta pensare agli assassini di uomini di stato organizzati per motivi strategici.
In questo spirito guarderemo alla situazione attuale dell’Italia, per chiederci quali interessi vengono perseguiti dai referenti “responsabili” nelle istituzioni oggi. […]

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