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Siria-Petrolio

Il vero peccato di Trump

October 14, 2019

Notizie, Politica, Strategia

(free) – di Andrew Spannaus –

Chi osserva le dichiarazioni dei senatori repubblicani in questi giorni riesce a capire le vere preoccupazioni dell’establishment conservatore negli Stati Uniti. Di fronte allo scandalo della telefonata tra Donald Trump e il Presidente ucraino Volodymyr Zelensky, inizialmente un solo senatore – Mitt Romney, che è sempre stato restio ad appoggiare Trump apertamente – ha preso una posizione decisamente critica. Gli altri senatori repubblicani, a partire dai dirigenti del partito, hanno dato poco credito alle motivazioni addotte dai democratici per aprire un’indagine al fine di votare per l’impeachment di Trump.

La reazione della dirigenza repubblicana è stata ben diversa, invece, quando il presidente ha annunciato la sua decisione di ritirare le truppe americane dalla Siria. A quel punto le critiche sono piovute da tutte le parti, e anche da senatori molto in vista come Mitch McConnell e Lindsey Graham, dimostrando dove si trova la loro “linea rossa”.

L’annuncio di Trump è stato fatto volutamente per contrastare le pressioni intorno al caso Ucraina. Infatti il presidente vuole dimostrare che i democratici e i media mainstream lo prendano di mira non a causa di una sua presunta violazione della legge, né oggi né durante le indagini sul Russiagate, ma piuttosto per la sua volontà di cambiare la politica imposta dall’establishment di Washington. Dunque Trump ha annunciato che “è ora di andare via da queste guerre ridicole e infinite”, sottolineando anche di aver “fatto campagna elettorale promettendo di riportare a casa i nostri soldati, e riportarli il più rapidamente possibile”.

Da una parte si tratta di una strategia politica necessaria per il presidente: legare l’impeachment alla campagna più ampia di contrastarlo ad ogni possibilità, iniziata ancora prima del suo insediamento. Dall’altra, apre a nuovi rischi. Come abbiamo sempre sostenuto, sono due i motivi che potrebbero portare Trump ad essere effettivamente estromesso: 1. se riuscisse veramente ad invertire la politica estera degli Stati Uniti, contro la volontà dell’establishment che di fatto segue ancora le politiche dei neoconservatori; e 2. se diventerà evidente che perderà le elezioni del 2020 con uno scarto molto grande, il che significherebbe che avrà perso una fetta consistente del sostegno tra gli elettori repubblicani. In questi casi, i politici repubblicani potrebbero sentirsi legittimati, e abbastanza sicuri, a sostenere l’impeachment fino in fondo.

Il ritiro delle truppe americane dalla Siria e dall’Afghanistan è un punto su cui Trump ritorna periodicamente, e che ogni volta provoca reazioni dalle figure istituzionali intorno a lui. Il presidente spinge per finalmente mantenere le sue promesse elettorali, “solo per essere frenato dall’establishment di sicurezza nazionale e dai suoi alleati al Congresso”, come ha ricordato il New York Times in questi giorni. Gli scontri su questo punto sono anche stati al centro di alcuni avvicendamenti importanti nella sua amministrazione, come le dimissioni del segretario alla Difesa Jim Mattis, quelle di Brett McGurk, l’inviato presidenziale alla coalizione contro l’ISIS, e il recente licenziamento del Consigliere per la sicurezza nazionale John Bolton.

Ogni volta che Trump si mette in testa che deve portare a casa il risultato su cui punta da tempo, si crea una tempesta intorno a lui. Non è un caso che ad oggi anche la posizione di Trump in merito all’impeachment pare meno sicura di quanto non fosse una settimana fa.

– Newsletter Transatlantico N. 28-2019

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