Blinken

Il viaggio di Antony Blinken in Cina

June 25, 2023

Economia, Strategia

– di Paolo Balmas –

Fra il 18 e il 19 giugno il Segretario di Stato americano, Antony Blinken, ha compiuto il suo primo viaggio ufficiale in Cina. Erano quasi cinque anni che i diplomatici dei due paesi non scambiavano visite ufficiali. Le relazioni diplomatiche fra i due paesi, infatti, erano a un minimo storico dai tempi di Nixon, che riaprì le relazioni con l’aiuto di Henry Kissinger nel 1972. Persino nel 1989, dopo i fatti di Tiananmen, gli Usa riallacciarono le relazioni dopo solo due settimane. La controparte cinese di Blinken, il Ministro degli Esteri, Qin Gang, incontrato durante il primo giorno della visita, ha sottolineato la necessità di gestire meglio i rapporti, di affrontarli in modo razionale, soprattutto in visione di potenziali eventi “sporadici e inaspettati”. Il ministro Qin si riferiva con molta probabilità all’episodio dei palloni spia dello scorso febbraio, che aveva fatto saltare l’incontro con Blinken.

I due hanno affrontato temi di sicurezza come Taiwan e l’Ucraina. Il rappresentante cinese ha ribadito che il mondo deve rinunciare a considerare possibile ogni forma di indipendenza politica di Taiwan dalla Cina. Ha anche insistito sulla volontà cinese di contribuire a una risoluzione del conflitto in Ucraina. Sono stati toccati molti temi economici, inclusa l’intensificazione del traffico aereo. In seguito all’epidemia del Covid-19, i voli che uniscono la Cina agli Usa sono diminuiti drasticamente. Nel 2022, le tre più grandi compagnie cinesi hanno registrato perdite di oltre 100 miliardi di yuan (circa 14 miliardi di dollari). Da quando le tratte aeree furono chiuse totalmente nel 2020, solo il 6% è stato riaperto (con stime che si riferiscono al traffico aereo del 2019). Insieme agli scambi aerei, i due paesi hanno deciso di facilitare anche gli scambi a livello studentesco e accademico, il cui deterioramento ha caratterizzato i rapporti degli ultimi anni.

Il secondo giorno Blinken ha incontrato Wang Yi, il direttore della Commissione degli Affari Esteri del Partito comunista cinese e il presidente Xi Jinping. Quest’ultimo è stato molto chiaro nel voler riportare i rapporti a un livello più disteso e costruttivo. Ha detto di vedere i rapporti con gli Usa dal punto di vista delle opportunità, dichiarando che il successo di entrambi è un’opportunità e non una sfida. A tale proposito, Blinken si è trovato d’accordo, riaffermando la volontà degli Usa di non intraprendere nessuna nuova guerra fredda contro la Cina. Un punto questo che era stato già sottolineato dal presidente Biden quando aveva incontrato Xi a Bali durante il G20. La Cina ha bisogno di essere rassicurata da questo punto di vista poiché gli interessi economici e politici sono innumerevoli e sta affrontando un momento di trasformazione interna su cui si deve concentrare.

Non stupisce che nelle stesse ore il Primo Ministro cinese, Li Qiang, si trovava a Berlino per il suo primo viaggio all’estero, al fine di ricordare ai politici e agli imprenditori tedeschi quanto sia pericoloso il “de-risking” di cui si parla tanto in questi giorni in Europa. La Cina non deve solo riportare a livelli di alta stabilità i rapporti con gli Usa, ma ha bisogno anche di assicurare la stabilità nei rapporti con l’Unione Europea e in particolare con le potenze economiche più importanti della regione. Prima di tutto la Germania, che è il paese più connesso alla Cina in termini di reti di produzione, di catene valore e di approvvigionamento. Il primo ministro Li ha suggerito di lasciare alle imprese il compito di gestire le relazioni economiche poiché sono loro che avvertono il rischio in modo più immediato e diretto. Un discorso dai contenuti ‘neoliberal’ e pro-globalizzazione, che non stupisce, in linea con le posizioni cinesi sin da quando l’Amministrazione Trump aveva lanciato la battaglia contro la globalizzazione, in parte sostenuta e mantenuta da Biden. Inutile dire che le imprese tedesche, del resto come quelle americane, non vogliono saperne di decoupling, tanto meno di de-risking, ovvero di riorganizzare in modo drastico le catene di produzione sviluppate in Asia, con un contributo sostanziale da parte della Cina, negli ultimi venti, trenta anni.

Questa posizione è stata rivelata da un sondaggio della Camera di Commercio dell’UE in Cina, che raccoglie circa 1700 imprese europee, seppur abbiano partecipato al sondaggio poco più di 500 membri. I rispondenti sono stati chiari malgrado il fatto che le imprese europee in Cina, nel complesso, abbiano registrato perdite nell’arco del 2022. Le proiezioni di crescita del mercato interno cinese, soprattutto nel medio e lungo termine, sono troppo attraenti per abbandonarlo. E i costi di riorganizzazione delle reti di produzione sono troppo alti da intraprendere singolarmente. Solo degli shock come il Covid-19 potrebbero convincere della necessità di trasformare l’economia mondiale. Per il momento l’assetto attuale, in linea generale, sembra reggere. Per le imprese americane è lo stesso. Mentre aumentano le difficoltà per chi vorrebbe andare in Cina, chi si trova lì non la vuole lasciare. Intanto, le maggiori testate (Bloomberg, tanto per citarne una) insistono con titoli sulla nuova guerra fredda, sulle sfide geopolitiche e geoeconomiche, mentre i rappresentanti delle diplomazie cinese e americana, come molti imprenditori, inclusi quelli europei, sminuiscono e usano la carta delle opportunità. Malgrado il tentativo di distensione apparente, che molti imprenditori vorrebbero fosse reale e stabile, lo spazio per incomprensioni fra Cina e Occidente, in particolare gli Usa, rimane piuttosto ampio. Infatti, i due si parlano su piani differenti. Mentre gli americani insistono sulla forma, i cinesi guardano più alla sostanza. Da un lato, gli Usa vogliono stabilire parametri precisi per il dialogo, ad esempio a livello militare, per evitare incidenti e il rischio di escalation. Dall’altro lato, invece, la Cina sposta l’accento da ‘come’ a ‘cosa’ si comunica e ‘cosa’ si fa. Al di là della creazione di canali di comunicazione formalizzati, la Cina vuole che gli Stati Uniti non si oppongano al diritto della Cina di estendere la sua influenza economica internazionale, e anche di avere una propria sfera d’influenza nel suo “quartiere” del mondo.

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