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Il tramonto di Sanders

March 13, 2020

Notizie, Politica

– di Andrew Spannaus –

Joe Biden si trova al comando della corsa per la nomina democratica per le presidenziali Usa del 2020 a seguito delle numerose vittorie nelle primarie del Super Tuesday, e dopo le votazioni in altri stati importanti il 10 marzo. La strategia dell’establishment del partito di mobilitare “tutti contro Sanders” ha di fatto funzionato: gli altri candidati centristi si sono ritirati rapidamente e hanno appoggiato Biden, e vari big del partito lo hanno promosso nei giorni dopo la vittoria di Sanders nel Nevada il 22 febbraio. E’ stata un’operazione da manuale, sorprendente per la sua efficacia, da cui possiamo trarre alcune lezioni sullo stato della politica americana ai tempi del populismo.

Nel 2016 Sanders ottenne il 43% dei voti nelle primarie contro Hillary Clinton, quando la struttura del partito aveva chiaramente preferito l’ex segretario di Stato. Questo portò i sostenitori di Sanders a pensare che se ci fosse stata una gara più equa, Sanders avrebbe vinto; e la sconfitta di Clinton ha rafforzato la percezione dell’importanza di una posizione “populista di sinistra” nella sfida contro Trump.

Anche questa volta però, salvo sorprese, Sanders non ce la farà. Fino a quando c’erano numerosi candidati è riuscito a primeggiare, come aveva fatto Trump tra i repubblicani nel 2016. Ma il consolidamento dietro Biden degli ultimi giorni ha fatto capire che in effetti il sostegno per Sanders ha un tetto massimo, e minoritario, tra gli elettori del partito. Da una parte la gente ha chiaramente accettato l’idea promossa da Biden e da gran parte dei media che Biden sia una scelta più sicura nella sfida contro Trump; dall’altra, bisogna ragionare sul messaggio di Sanders e la reazione tra la popolazione.

E’ difficile convincere la maggioranza degli americani a perseguire una “rivoluzione” politica oggi.  Gli elettori rispondono bene ai temi specifici: vogliono cambiamenti incisivi nel campo della sanità, il contrasto allo strapotere delle multinazionali, e la fine delle guerre inutili. Ma la questione è come si presenta questa campagna. E’ importante prendere a bersaglio l’establishment, ma non l’America stessa. Per questo lo slogan Make America Great Again è sicuramente più efficace di qualcosa tipo Make America a Socialist Democracy.

Gli americani sono orgogliosi della propria storia e dei propri valori. Per capire quanto sia forte questa identificazione ideale basta vedere la risposta di molti afroamericani al tentativo del New York Times di riscrivere la storia del paese indicando lo schiavismo come il fattore cruciale – e di fatto squalificante – della fondazione della repubblica. Questa iniziativa, intitolata “The 1619 Project”, ha trovato molta opposizione anche tra gli afroamericani stessi, che certamente non disconoscono l’orrore e gli effetti a lungo termine dello schiavismo, ma preferiscono l’approccio di Martin Luther King, Jr.: l’America deve realizzare i propri valori, che hanno valenza universale.

Per applicare questa riflessione alle primarie democratiche del 2020, possiamo dire che Sanders avrebbe fatto bene ad incentrare la sua campagna sulla riaffermazione dei valori del New Deal di Franklin Delano Roosevelt, e sull’espansione dello stato sociale nella stessa vena, piuttosto che accettare un dibattito su che cosa significa il “socialismo”. Qualche suo collaboratore ha adottato questo approccio, ma il candidato stesso ha riproposto la stessa campagna di 4 anni fa enfatizzando la sua “rivoluzione”, invece di collocarsi chiaramente nella tradizione americana.

Per questo, io sono convinto che il movimento progressista in America, e l’America tutta, hanno perso una grande occasione: se Bernie Sanders non era disposto, o in grado, di attuare questa strategia, sarebbe stato meglio affidare il “movimento” a Elizabeth Warren. Anche lei ha le sue debolezze, ma ha anche la capacità di tradurre i grandi obiettivi del movimento anti-Wall Street e anti-globalizzazione in idee chiare legate alla storia e al sogno americano, senza apparire come una guerriera ideologica. Purtroppo è stato proprio questo approccio ad indispettire i sostenitori di Sanders, molti dei quali hanno considerato Warren poco pura, una sorta di infiltrata dell’establishment, nonostante faccia davvero paura al mondo dell’alta finanza.

Un esempio di questo errore di purezza viene dalla proposta di Sanders in tema sanitario (abbracciata in modo parziale anche da Warren, con effetti negativi per lei nei sondaggi): il Medicare for All. Gran parte degli americani sono a favore di un sistema pubblico più ampio, per garantire che nessuno finisca sul lastrico a causa di un’emergenza medica. Ma per fare questo non occorre arrivare a promettere l’abolizione totale della sanità privata; così si fa paura alle persone che hanno una buona assicurazione (tante), compresi i lavoratori iscritti ai sindacati che si sono battuti tanto per ottenere un trattamento di ottimo livello. Una cosa è promettere un maggiore ruolo pubblico per migliorare il sistema, altro è dichiarare guerra totale a quanto esiste già.

La lezione è semplice: bisogna affrontare i grandi problemi, promettere più giustizia e combattere la mentalità finanziaria e speculativa che ha deformato il sistema, ma non buttare il bambino con l’acqua sporca.

Detto questo, Biden, come gli altri centristi, non ispira fiducia su questi temi. Comprensibilmente, gli elettori progressisti non si fidano quando questi candidati presentano dei programmi meno incisivi. Spesso le loro proposte sono tecnicamente ragionevoli, e quasi tutte sono più ambiziose di quanto attuato durante la presidenza di Barack Obama pochi anni fa. Ma la storia dimostra che chi fa proposte più timide in partenza tende a scendere rapidamente a compromessi. Biden ha dimostrato lungo la sua lunga carriera al Senato, e anche come vice di Obama, che è ben contento di andare incontro ai suoi avversari, e che non ha problemi a cedere alle richieste delle corporations (veniva considerato il senatore preferito delle società delle carte di credito). Per questo è legittimo pensare che se dovesse vincere Biden – il che dipenderà molto dallo sviluppo dell’emergenza coronavirus – non si vedrebbero progressi netti sulle istanze di maggiore giustizia economica scaturite dagli effetti negativi della globalizzazione finanziaria degli ultimi decenni. Per i populisti di sinistra, più che lamentarsi della sconfitta, occorre capire come essere più efficaci nel perseguire i propri obiettivi di cambiamento strutturale.

– Newsletter Transatlantico N. 7-2020

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