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Tribunale Usa: Mueller non ha le prove

July 25, 2019

Notizie, Politica

(free) – di Andrew Spannaus –

E’ arrivata finalmente l’audizione di Robert Mueller al Congresso Usa sul Russiagate. Come previsto, Mueller ha detto il meno possibile, senza offrire alcun dettaglio oltre quanto già fornito nel famoso rapporto di 448 pagine consegnato ad aprile. L’apparizione dell’ex Procuratore Speciale è stata voluta fortemente da alcuni democratici, che speravano di trarre qualche momento visivo ben utilizzabile per sostenere il caso dell’impeachment. E mentre Mueller ha ripetuto che non ha “esonerato” il presidente, anche i repubblicani hanno potuto sfruttare l’occasione per cercare di mettere in difficoltà l’ex direttore del Fbi.

L’appuntamento è stato rimandato di una settimana, in quanto Mueller stesso aveva chiesto del tempo in più, e aveva anche sollecitato il Dipartimento di Giustizia a fornirgli delle linee guida in merito all’audizione. Ma mentre i media si preparavano al grande spettacolo – qualche telegiornale italiano ha perfino seguito la sessione dal vivo – una notizia molto interessante è stata ignorata: il 9 luglio, un giudice federale nel procedimento che riguarda le presunte interferenze russe nelle elezioni americane, ha ordinato a Mueller di smettere di dire pubblicamente che il governo russo fosse dietro a tali operazioni, in quanto non ha presentato alcuna prova in questo senso.

Sono ormai anni che agenzie d’intelligence, politici, media affermano senza ombra di dubbio che è stato il governo di Vladimir Putin a dirigere una vasta operazione di hackeraggio e di propaganda sui social network che avrebbe influenzato le elezioni presidenziali americane del 2016; ma in realtà, finora, non è stata presentata alcuna prova concreta di questa affermazione.

Transatlantico.info ha scritto più volte sul caso in questione. Quando Mueller ha ottenuto un atto di accusa contro la Internet Research Agency (IRA), mandando in fibrillazione il New York Times e altri autorevoli organi di stampa che hanno scommesso sul Russiagate dall’inizio, era successo qualcosa di disatteso: gli avvocati di una delle società coinvolte si sono costituiti nel processo, presentandosi in Tribunale. Nei mesi successivi, la squadra di Mueller ha cercato di guadagnare tempo, trincerandosi dietro la “sicurezza nazionale”. Ora la Giudice Dabney Friedrich ha scritto che Mueller ha impropriamente legato la Concord Management and Consulting, insieme alla stessa IRA di San Pietroburgo, al governo russo.

“Nell’attribuire la condotta dell’IRA alla ‘Russia’ – invece che ad individui o enti russi – il rapporto [Mueller] indica che le attività allegate nell’atto di accusa furono intraprese per conto, e forse sotto la direzione, del governo russo”. In realtà, dice la giudice, l’atto di accusa formale non parla di un tale legame, e quindi si tratta di una violazione dei diritti dei convenuti.

Cosa significa? La giudice sottolinea che le dichiarazioni pubbliche di Mueller, nel suo famoso Rapporto al Congresso, attribuiscono un comportamento al governo russo che negli atti formali non ha nemmeno tentato di stabilire. Tra l’altro, la narrazione è ormai così forte che perfino il Ministro della Giustizia William Barr, nel difendere il presidente, è stato criticato dalla giudice, in quanto ha pubblicamente tracciato un legame tra la Internet Research Agency e il governo russo. Quindi anche gli oppositori del Russiagate hanno accettato qualcosa che in realtà, nessuno pensa di poter dimostrare.

Se si aggiunge il fatto che il presunto furto delle e-mail di Hillary Clinton da parte di hacker russi non è stato dimostrato – anzi, secondo esperti scientifici i messaggi devono essere stati copiati, non rubati tramite internet – e anche che l’attività dell’IRA sui social è stata “minuscola” rispetto alla quantità di post che appaiano tutti i giorni, secondo Facebook stesso, si comincia a capire quanto era evidente a solo poche persone dall’inizio: non c’è alcuna prova concreta delle interferenze russe nelle elezioni del 2016.

Si pensi un attimo alle implicazioni politiche di questi fatti. Non si può certamente escludere che i russi cerchino di influenzare il dibattito pubblico negli Stati Uniti; lo fanno anche pubblicamente, attraverso organi di stampa come Sputnik e Russia Today. Ma la questione delle interferenze clandestine tramite hacker ha fatto da base per enormi pressioni politiche sulla Casa Bianca. Basti ricordare il caso del vertice di Helsinki tra Trump e Putin nel luglio del 2018. L’unico tema discusso nel mondo politico e nei media è stata la risposta di Trump alla domanda di un giornalista, in cui il presidente non ha voluto accusare Putin e la Russia di aver interferito nelle elezioni.

Come ha scritto il Washington Times in merito, “La risposta ha stupito la comunità d’intelligence, che pensava che la questione fosse stata già definita”. Già, ma pare che non sia definito nulla, se non la volontà politica di bloccare una maggiore apertura diplomatica e collaborazione con la Russia, impresa che Donald Trump non riesce proprio a portare avanti, grazie alla frenesia del Russiagate.

– Newsletter Transatlantico N. 22-2019

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