Capitol

7 considerazioni sulle elezioni mid-term

November 16, 2018

Politica

– di Andrew Spannaus –

1. I democratici hanno vinto tanto, ma non tutto

La vittoria democratica alla Camera riflette una maggiore mobilitazione di alcuni settori dell’elettorato, e uno spostamento significativo di voti tra gli indipendenti principalmente nelle zone più disputate, quelle suburbane. I democratici hanno vinto di circa 7 punti percentuali nel voto popolare per la Camera. Relativamente alla loro posizione di 2 anni fa il guadagno complessivo è stato di 8 punti, battendo leggermente la media dello spostamento dei voti tra i due grandi partiti nelle elezioni di metà mandato negli ultimi 70 anni, che era di 7,3 punti.

I democratici sono svantaggiati dal gerrymandering dei repubblicani negli ultimi anni, e anche dal fatto che gli stati meno popolati tendono a votare per i repubblicani. In più sono andati molto vicino alla vittoria in stati dove da tempo non riuscivano ad essere competitivi – il Texas e la Georgia, per esempio. Sono più forti ora, ma la loro posizione è tutt’altro che consolidata: ci sono molti seggi in cui il margine di vittoria è stato piuttosto stretto, e tra 2 anni il voto coinciderà con le presidenziali, quando la sfida nazionale può influire di più sulle contese locali.

 

2. Trump rimane al timone del partito repubblicano, in termini elettorali

 Il presidente è intervenuto direttamente a favore dei candidati repubblicani, in modo molto visibile per il Senato e per i governatori. Molti dei candidati che ha sostenuto hanno vinto – anche se si aspetta ora il riconteggio dei voti in Florida a causa dei margini sottilissimi – permettendogli di smentire il teorema di essere visto solo come un peso. A guardare i dati si trovano casi in cui si può dubitare se il contributo del presidente sia stato sempre positivo, ma l’impressione generale rimane che lui ha aiutato il partito. Insieme al suo tasso di gradimento di circa 90% tra gli elettori repubblicani, la posizione di Trump all’interno del partito rimane forte per ora, salvo passi falsi se messo sotto pressione da eventuali indagini.

 

3. Il populismo non è morto; quello sull’economia sarà il tema cruciale per i democratici nei prossimi due anni

Mentre Trump si è concentrato sull’immigrazione, i democratici hanno fatto campagna elettorale principalmente su temi economici come il costo alto della vita. I progressisti, tra cui si annoverano molte delle facce nuove del partito, sempre più donne e di etnie diverse, hanno vinto alcune primarie correndo contro l’establishment del partito, con idee in linea con l’ala Sanders/Warren del partito.

I candidati considerati più moderati, che hanno vinto nei sobborghi, non si sono concentrati sul cattivissimo Trump, #metoo, o Russiagate; hanno parlato della sanità, dell’istruzione, e della precarietà. Sono tutti temi che toccano gli effetti negativi della globalizzazione, declassando le “guerre culturali” su cui i media preferiscono concentrarsi.

 

4. I media sono tornati indietro, fissati sulle personalità e sui temi superficiali

Si sente parlare spesso di un’America “profondamente divisa”. E’ vero, ma bisogna stare attenti a ragionare in base a schemi vecchi. Più che destra/sinistra c’è un divario tra establishment e outsider, con un diffuso sentimento anti-sistema che vale ancora come leva elettorale. I media centristi cercano di definire chi sostiene Trump, chi critica la globalizzazione e difende concetti come il nazionalismo e il protezionismo, come ignoranti, razzisti e antisemiti. E’ una riedizione dell’epiteto “deplorables” utilizzato da Hillary Clinton, che comporta un grande rischio, quello di precludere un dibattito sui temi alla base della protesta, prendendo gli aspetti più superficiali come scuse per non affrontare i populisti sui meriti.

 

5. La diversità è un tema a doppio taglio per i democratici

La crescita del numero di donne elette alla Camera, la vittoria di due musulmane e di un numero maggiore di candidati Lgbt viene considerato indicatore di un’inesorabile cambiamento verso un paese più inclusivo, in cui i democratici si troveranno con una maggioranza imbattibile grazie alla diversità della popolazione americana. Si rischia però di fare lo stesso errore di “profilazione” fatto nel 2016: pensare che la gente voti solo in base all’identità stretta, cioè la propria etnia, il genere, la tradizionale appartenenza politica.

La storia recente dimostra che non si può decidere il voto della gente a tavolino, e che il disagio diffuso rispetto agli effetti delle politiche di globalizzazione, in termini economici ma anche di identità in senso culturale e politico più ampio, può cambiare gli schemi. Per il partito democratico una strategia “arcobaleno”, con l’idea di creare una coalizione sempre più grande di diverse “tribù” politiche, rappresenta una tentazione forte ma rischiosa. La strada del riscatto passa ancora per il confronto sui temi fondamentali della rivolta, che guidano la protesta in tutto il mondo occidentale.

 

6. Trump può trarre dei vantaggi dalla sua posizione politica attuale

Per un presidente che cerca la riconferma, avere un ramo del Congresso contro non è lo scenario peggiore, soprattutto se controlla ancora il Senato, che gli permette di nominare consiglieri e giudici senza preoccuparsi troppo dell’opposizione. Adesso Trump potrà vantarsi di aver portato a casa alcuni risultati grandi nei primi due anni, come la riforma fiscale, ma senza la responsabilità di varare nuove leggi, addossando la colpa per lo stallo agli avversari. Molti presidenti lo hanno fatto in passato, a partire da Barack Obama nel 2012, che pur avendo perso ancora di più di Trump alle sue prime elezioni di metà mandato, è stato riconfermato senza grande difficoltà due anni dopo.

La situazione che si presenterà da gennaio comporterà alcuni rischi per i democratici. La leadership del partito sa già che l’impeachment non è una strategia vincente, e quindi evita di parlarne. Ci saranno tante indagini e pressioni sulla Casa Bianca, che dovrà navigare in acque difficili. Ma per i democratici, dare l’impressione di concentrarsi sugli scandali personali di Trump, piuttosto che sui problemi del paese, può facilmente ritorcersi contro.

 

7. Gli americani vedono dei miglioramenti economici, ma occhio a cantare vittoria

Continua la narrazione sulla grande forza dell’economia americana, eppure Trump ha ignorato le richieste dei suoi consiglieri di concentrarsi su questo punto, preferendo invece riprendere le polemiche sull’immigrazione. La scelta di Trump non dovrebbe sorprendere: due anni fa, i democratici hanno dimostrato bene quanti rischi ci sono a decantare le statistiche economiche positive quando i benefici dell’economia vanno (ancora) principalmente verso l’alto. I numeri della disoccupazione sono bassi, e ci sono nuovi posti di lavoro anche in settori importanti come le manifatture, ma la crescita dei redditi in termini reali è ancora irrisoria. Vantarsi di aver risolto i problemi quando la gente si preoccupa ancora dei costi della sanità e dell’istruzione, e della precarietà del lavoro, può rafforzare la percezione che Washington è lontana dalle preoccupazioni quotidiane dei cittadini.

– Newsletter Transatlantico N. 37-2018

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