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Il referendum italiano fra democrazia reale e information warfare

December 2, 2016

Politica

– di Paolo Balmas –

In un recente articolo pubblicato dall’Economist, la prestigiosa rivista economica inglese il cui socio di maggioranza (43,4%) è il gruppo Exor della famiglia Agnelli, si legge che “questo giornale crede che gli italiani debbano votare No” al referendum costituzionale del prossimo 4 dicembre 2016.

Le motivazioni si possono riassumere nel fatto che il connubio tra la riforma costituzionale e la legge elettorale, con il suo premio di maggioranza, mette in pericolo il funzionamento democratico delle istituzioni italiane. La conclusione, quasi a consigliare che sia la via migliore, è che se l’obiettivo della manovra del Presidente del Consiglio, Matteo Renzi, consiste nelle tanto attese riforme strutturali del paese, in caso vincesse il No, le potrà portare a termine un governo tecnico senza il timore di troppi scombussolamenti.

Gli analisti dell’Economist, quindi, non credono nelle tesi apocalittiche che descrivono un’ipotetica vittoria del No come la fine dell’euro e dell’Unione Europea, o come una catastrofe per la Borsa italiana (in fondo il FTSE MIB perde già quasi il 25% dall’inizio dell’anno). Non bisogna però dimenticare la minaccia delle agenzie di rating americane, che hanno ipotizzato un downgrade dei titoli obbligazionari di Stato italiani in caso di vittoria del No.

Inoltre, va detto che, secondo un ragionamento contingente non legato ai meriti della riforma, invece, si potrebbero sollevare delle preoccupazioni relative a una vittoria del No, considerata la congiuntura politica mondiale; proprio quando si vanno formando la nuova politica estera e la politica energetica degli Stati Uniti, l’Italia potrebbe trovarsi con un Governo (tecnico) più debole, meno capace di far sentire le ragioni del Paese. E, insistendo sul ragionamento, si tocca un punto poco dibattuto dall’informazione, ovvero il “lato amministrativo” del referendum italiano, che riguarda il rientro a Palazzo di alcuni poteri devoluti alle Regioni; fatto che riguarda da vicino anche la politica energetica d’Italia.

Tuttavia, non si può prescindere da un ragionamento sui meriti.

In generale, attraverso gli organi di informazione si apprende, da un lato, che chi critica la riforma costituzionale è preoccupato dell’incertezza e dell’inadeguatezza di un nuovo assetto che non è appropriato al sistema socio-politico italiano. Ci si riferisce, ad esempio, al doppio incarico dei nuovi senatori (che saranno anche sindaci o consiglieri regionali). Dall’altro lato, chi sostiene il Sì, più che essere convinto della validità del nuovo testo costituzionale, è fermamente convinto che cambiare qualcosa in Italia sia necessario. Certamente, buona parte degli italiani crede che ci sia bisogno di mutamenti importanti.

Tuttavia, a volte, per comprendere cosa accade è necessario estraniarsi dal proprio ambiente e guardare ciò che sta accadendo con oggettività, come se osservassimo un altro paese. Risulta subito chiaro che ci sono due questioni che emergono.

La prima riguarda l’interesse dei media e degli ambienti finanziari internazionali nei confronti del referendum del 4 dicembre. La campagna elettorale è accompagnata da una guerra d’informazione caratterizzata dalla narrazione di una catastrofe a cui si va incontro nel caso di una vittoria del No, in opposizione alla personalizzazione del voto proposta mesi fa dal presidente Renzi in relazione alla sua persona.

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