La “sorpresa” delle elezioni irlandesi

March 8, 2016

Economia, Politica

(free) – di Andrew Spannaus –

Nelle elezioni del 26 febbraio in Irlanda i componenti della coalizione governativa hanno sofferto forti perdite principalmente a causa del malcontento popolare per le misure di austerità economica attuate negli ultimi anni. I partiti Fine Gael e Labour hanno perso 10,6 e 12,8 punti percentuali, rispettivamente, mentre i partiti d’opposizione Fianna Fail e Sinn Fein – nemici storici dai tempi della guerra civile degli anni 20 – hanno guadagnato 6,9 e 3,9 punti.

Il governo uscente aveva scelto come slogan elettorale “Continuiamo la ripresa”, vantandosi di essere il paese con la crescita maggiore in Europa. Si sperava di replicare il successo di David Cameron in Inghilterra, che è riuscito a mantenere il suo posto nonostante l’austerità applicata in precedenza.

Eppure la popolazione irlandese ha mandato un messaggio ben diverso. E’ largamente riconosciuto che le cause della sconfitta del governo si trovano nella rabbia popolare dovuta alle condizioni economiche: tra gli effetti dell’austerità ci sono per esempio l’aumento delle tariffe dell’acqua e i tagli alla sanità e all’istruzione, che hanno provocato proteste nazionali.

Fianna Fail e Sinn Fein sostengono che la ripresa abbia portato dei benefici solo ad una piccola fetta della popolazione; mentre a Dublino si vede la ripresa, nel resto del paese si scontano i forti tagli ai servizi pubblici. Non è una sorpresa che solo il 26% della popolazione vede un miglioramento nella propria posizione economica rispetto ad un anno fa, secondo un sondaggio citato da The Economist.

I risultati delle elezioni in Irlanda dimostrano ancora una volta il divario tra la visione economica dell’establishment e quella della gente normale. Con una crescita del Pil del 5% si pensava che gli irlandesi dovessero essere contenti. Ma evidentemente è una crescita i cui effetti rimangono circoscritti. Ricorda non poco la situazione politica degli Stati Uniti: nonostante i numeri ufficiali parlino di crescita continua e di calo della disoccupazione, gli elettori corrono ad abbracciare candidati che criticano la direzione della politica economica non solo dopo la crisi degli ultimi anni, ma andando indietro decenni, da quando è iniziata la trasformazione verso una società basata più sulla finanza e i servizi, e meno sulla produzione e gli investimenti nell’economia reale.

– Newsletter Transatlantico N. 17-2016

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