Charlie Hebdo e le radici del terrorismo

January 14, 2015

Migliori, Strategia

(free) – di Andrew Spannaus –

I terribili fatti avvenuti a Parigi negli ultimi giorni hanno riportato l’attenzione delle società occidentali sulla minaccia del terrorismo islamico in modo prepotente. La risposta della popolazione è stata forte e commovente, indicando un grande coraggio di fronte ad orrori che hanno di colpo reso molto più vicini gli avvenimenti lontani come la guerra all’ISIS.

Erano anni che non succedeva un attentato significativo in Europa, anche se le minacce contro i governi occidentali – e anche contro certi personaggi e organi di stampa – ci sono da tempo. Gli anni della guerra al terrorismo hanno fornito numerosi simboli – da Abu Ghraib ai droni, per esempio – che vengono utilizzati per aizzare i radicali contro gli ‘infedeli’ in Occidente.

Il pericolo, come sempre, è che il dibattito pubblico non vada oltre i dettagli immediati degli avvenimenti recenti, di fatto facendo rientrare la strage di Parigi nello scenario pre-esistente: il fanatismo contro la civiltà, le schegge impazzite e la vulnerabilità delle società occidentali. Da lì si passa subito all’ulteriore militarizzazione dei metodi di ordine pubblico e all’aumento delle operazioni per scovare e eliminare i capi delle reti terroristiche nei paesi islamici.

Così si radicalizza il conflitto, avallando la tesi dello scontro di civiltà.

Se da parte dei gruppi terroristici questa strategia è esplicita e dichiarata, da noi è più complicata. I neoconservatori negli Stati Uniti e i loro alleati in Europa sono ben contenti di continuare in questa direzione, mentre proclamano l’obiettivo della pace. Altri invece fanno il gioco degli estremisti in modo apparentemente involontario, con provocazioni che si potrebbero anche evitare.

Faccio fatica per esempio a considerare la satira di Charlie Hebdo come un’alta espressione della libertà di pensiero. Ci sono sicuramente modi migliori di battersi per la libertà che non fare di tutto per offendere la religione altrui con vignette, oltretutto le più volgari possibili.

Non intendo giustificare in alcun modo il terrorismo. Nessuno merita di essere ucciso o nemmeno aggredito per aver espresso un’opinione, per quanto offensiva. Tuttavia non possiamo esimerci dal pensare a come si alimenta lo scenario di scontro. Ormai dovremmo aver imparato che l’umiliazione e l’offesa non sono il modo migliore di mandare un messaggio di pace.

Detto questo bisogna porsi delle domande strategiche e guardare le dinamiche che hanno portato alla situazione di oggi. Da sempre i gruppi terroristici vengono infiltrati e manovrati dai servizi d’intelligence; a volte i fanatici fanno comodo quando si vuole raggiungere un certo risultato politico.

Questo non significa che vengono tirate le fila in modo diretto; gli errori succedono ed è impossibile prevenire tutto. Le autorità francesi dicono di aver sventato diversi attentati negli ultimi mesi. Sarebbe troppo semplice dire: è ‘impossibile’ non poter fermare dei dilettanti di questo tipo.

E’ molto utile invece ragionare su come sono nate certe reti terroristiche e perché continuano ad operare in alcuni paesi europei. Sono domande che ci portano a due paesi che negli ultimi decenni, per motivi geopolitici, hanno finanziato e assistito la nascita del terrorismo islamico ora così articolato: la Gran Bretagna e l’Arabia Saudita.

Per capire meglio l’importanza del rapporto tra i sauditi e i governi occidentali (non solo Londra), presentiamo alcune parti di un discorso del giornalista Jeffrey Steinberg dell’EIR, pronunciato a Washington il 9 gennaio.

Steinberg fa riferimento alle 28 pagine del rapporto del Congresso americano sugli attentati dell’11 settembre 2001, che trattano il ruolo dell’Arabia Saudita nel sostenere i dirottatori. Quelle pagine non sono state pubblicate, in quanto ritenute sensibili per la sicurezza nazionale. Tuttavia ci sono molti elementi già pubblici che danno un quadro del ruolo saudita, e chi ha visto la parte segreta del rapporto dice che i contenuti cambiano il modo in cui si vedono gli avvenimenti degli ultimi anni.

Durante la sua prima campagna per la Casa Bianca anche Barack Obama aveva promesso di togliere il segreto a quella parte del rapporto, promessa non mantenuta.

Nello stesso giorno dell’attacco di Parigi, si è tenuta una conferenza stampa per annunciare una nuova mozione presentata alla Camera da tre deputati in cui si chiede il rilascio delle 28 pagine, per fare luce sul “coinvolgimento di certi governi stranieri negli attacchi terroristici del settembre 2001”.

In base alle dichiarazioni dei deputati e le inchieste della rivista EIR, Steinberg riassume l’importanza di esaminare le origini dei gruppi terroristici di oggi, partendo dall’accordo armi-petrolio tra i britannici e i sauditi che fornì il meccanismo per la creazione di fondi neri di miliardi di dollari. Tali fondi furono utilizzati per finanziare i mujaheddin di ieri, che sono diventati i terroristi di oggi.

Permangono le preoccupazioni sui legami tra quei gruppi e i loro sponsor originali, in termini di finanziamenti e anche di legami operativi, rendendo più che mai necessario un chiarimento sulla natura del terrorismo che sfida l’Occidente oggi.

Seguono stralci del discorso di Jeffrey Steinberg a Washington D.C. il 9 gennaio 2015. Sono stati ommessi i dettagli in merito al finanziamento dei dirottatori, che possono essere trovati in rete.

“E’ impossibile anche solo cominciare a discutere degli eventi attuali senza tornare almeno agli attentati dell’11 settembre, e all’insabbiamento che ne seguì…

“Esiste un quadro ben documentato della convergenza delle operazioni della monarchia britannica e della monarchia saudita che riguardano direttamente il 9/11. A cominciare dal 1985, il Principe Bandar bin Sultan, nonostante la sua carica di Ambasciatore qui a Washington, D.C., fece personalmente da intermediario verso l’allora Primo Ministro britannico Margaret Thatcher, per la conclusione di un accordo di scambio molto particolare tra i britannici e i sauditi, in cui i britannici, attraverso la grande società di produzione di armi BAE Systems, fornirono circa 40 miliardi di dollari di armi di vario tipo, dai caccia ai sistemi radar, al Ministero della Difesa saudita.

“In cambio i sauditi pagarono tutte quelle attrezzature militari – insieme a delle tangenti molto consistenti che finirono nelle mani di alcuni funzionari importanti dello stesso Ministero e di un certo numero di altri principi sauditi – con la consegna di 600 mila barili di petrolio al giorno, dal 1985 fino ai giorni nostri.

“Allora noi abbiamo fatto un po’ di calcoli e ci sono state fornite certe informazioni essenziali dal Principe Bandar stesso. Se si guarda l’ammontare dei soldi spesi dai britannici nel fornire quei sistemi d’armi, e lo si paragona ai proventi generati dalla vendita sul mercato spot del petrolio di una superpetroliera ogni giorno per il periodo dal 1985 al presente, si trova che dopo aver tenuto conto di tutti quei fattori, avanzano oltre 100 miliardi di dollari.

“In una recente biografia autorizzata il Principe Bandar si è vantato del fatto che la special relationship tra la monarchia saudita e quella britannica ha permesso la creazione di una serie di fondi offshore – fondi neri, probabilmente la fonte più grande di soldi per le operazioni coperte mai messi insieme simultaneamente. E questi fondi gestiti insieme dai britannici e dai sauditi, come ha detto Bandar stesso, andarono a “la guerra contro il comunismo”, che per lui significava il finanziamento dei mujaheddin in Afghanistan, uno dei luoghi di cova per al-Qaeda e di tutti gli altri gruppi che ora vediamo agire sul palcoscenico mondiale.

“Dunque mentre Bandar e sua moglie fornivano risorse finanziarie agli ufficiali di intelligence sauditi che gestivano due dei dirottatori del 9/11, Bandar riceveva regolarmente dei bonifici dalla Banca d’Inghilterra come “commissione di intermediazione” per gli accordi petrolio/armi tra i britannici e i sauditi – l’accordo si chiamava “al Yamamah”, cioè “la colomba”.

“La parte di Bandar era di almeno 2 miliardi di dollari di commissioni, che arrivavano al suo conto alla Riggs National Bank (di Washington). Questi furono i fondi che andarono a finanziare in parte i dirottatori, e queste informazioni fanno parte delle 28 pagine dell’inchiesta del Congresso.

“I tre deputati, che hanno letto le 28 pagine, sono stati molto attenti a rispettare gli accordi e non rivelarne i contenuti, ma sono liberi nell’esprimere le loro opinioni. In tutti i casi hanno detto che la loro visione della storia degli ultimi 15 e più anni è stata cambiata fondamentalmente da ciò che hanno letto.

“Allora eccoci all’inizio del 2015. Abbiamo appena visto un attacco orribile a Parigi in Francia mercoledì mattina. Gli Stati Uniti ora sarebbero in un’alleanza con l’Arabia Saudita, con la Gran Bretagna, e con altri paesi del Consiglio di Cooperazione del Golfo (GCC) nel Golfo Persico, paesi sunniti, in gran parte monarchie, presumibilmente per combattere contro lo Stato Islamico. Eppure le prove contenute in quelle 28 pagine indicano che questo apparato anglo-saudita sarebbe l’origine di tutto il terrorismo internazionale che combattiamo da dodici anni.

“Ora le indagini sugli eventi di pochi giorni fa a Parigi sono in corso. Sarebbe prematuro dire che abbiamo un quadro chiaro di cosa c’è dietro a quella operazione. Ma alcuni elementi sono già usciti e sono chiari: per esempio, i due fratelli che hanno attaccato la sede di Charlie Hebdo, uccidendo una dozzina di persone, facevano parte di una rete di reclutamento, una rete jihadista che opera sotto la protezione dei britannici da molto tempo.

“Ci sono moschee a Londra, compresa la Moschea di Finsbury Park, dove i reclutatori dei due fratelli erano di base per decenni, protetti dall’intelligence britannico.

“Negli scorsi anni, uno dei leader di tale moschea, Abu Hamza, è stato estradato negli Stati Uniti e processato per il proprio ruolo in certe attività terroristiche e nel reclutamento terroristico. Nel tribunale statunitense, la sua linea di difesa principale è stata che mentre lavorava come reclutatore per al-Qaeda e altri gruppi jihadisti, lavorava segretamente anche per l’MI5 britannico. E ci sono motivi per credere che queste dichiarazioni siano credibili.

“In fin dei conti la realtà è che esiste un apparato anglo-saudita che è la fonte del finanziamento, dell’addestramento e della protezione del terrorismo internazionale. Fino a quando questa verità sarà nascosta al popolo americano e al mondo intero, non ci sarà modo di fermare il terrorismo. Se invece si deciderà di rivelare la verità, a cominciare dalla pubblicazione delle 28 pagine del rapporto, potremo cominciare a risolvere questo problema nella maniera giusta”.

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