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La Grecia sfida l’Eurosistema

January 30, 2015

Economia

(free)

– di Andrew Spannaus –

La vittoria di Tsipras alle elezioni greche pone l’Europa ad un bivio: è evidente la necessità di abbandonare la politica di austerità, ma le istituzioni europee non possono ammettere che il loro modello è fallito. Si crea dunque una tensione tra l’apparenza politica – da salvare ad ogni costo – e le necessità reali della popolazione.

Durante la campagna elettorale Tsipras ha espresso una posizione netta in merito alla rinegoziazione del debito greco, che in apparenza lascia solo due alternative nette: o va fino in fondo e costringe l’Europa ad accettare una sorta di default, oppure cede alle pressioni e alla ‘ragione di (super)stato’.

Il nuovo capo del governo ha lavorato per rassicurare tutti che non intende portare la Grecia fuori dall’Euro, in ossequio alla necessità espressa di evitare un crollo dei mercati finanziari in risposta alla vittoria del suo partito. Tuttavia il messaggio degli elettori greci è chiaro: no al memorandum, no al cosiddetto rigore che ha causato tanta sofferenza. La proposta di Tsipras sfida direttamente le fondamenta dell’Unione Europea: rifiutarsi di rispettare la politica del bilancio fin quando non ci sarà una crescita economica sostenuta. Proposta che è esattamente il contrario della linea degli ultimi decenni, da Maastricht al Patto di Stabilità al Fiscal Compact.

Lo scenario che si apre mette quindi in dubbio l’esistenza stessa dell’Euro e la coesione dell’Europa. Non ci sono dubbi però che si cercherà una soluzione che salvi l’immagine dell’Unione, tentando di derubricare un eventuale compromesso come un “caso singolo” che non deve applicarsi agli altri paesi.

La prima conseguenza di una tale soluzione è che servirà un passo indietro dei greci, almeno nei fatti. L’Europa esigerà un qualche atto di sottomissione, per evitare che anche gli altri paesi arrivino con le richieste più varie.

E saranno cruciali proprio gli altri paesi. Se ormai è evidente che la ricetta tagli e tasse non funziona, cosa diranno gli italiani, gli spagnoli, i portoghesi? Continueranno a difendere l’impoverimento della popolazione perché ora è in arrivo “la ripresa” oppure coglieranno l’occasione per alzarsi in piedi e rivendicare un cambiamento più profondo?

Si accontenteranno di ulteriori soldi dati ai mercati finanziari attraverso il Quantitative Easing e dei soldi riciclati del Piano Juncker, o chiederanno un ritorno agli investimenti pubblici?

Finora le battaglie di politica economica europea hanno portato a cambiamenti molto piccoli; c’è chi voleva battere i pugni sul tavolo, chi allentare i parametri sul deficit. Ma l’impianto di base rimane quello stabilito oltre vent’anni fa, quando l’ordine di marcia fu di rimuovere la sovranità nazionale e garantire una politica favorevole ai grandi interessi finanziari.

Come si è visto dal 2008 in poi una siffatta politica non può reggere a lungo: sarà modificata o in modo ordinato, o attraverso degli sconvolgimenti sociali. Le elezioni greche offrono un’occasione per cambiare in modo ragionevole, ma questo richiederà dei passi coraggiosi da parte di numerosi governi, che finora non si sono distinti in questo senso.

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