Banca_Popolare_di_Milano

Banche: interessi locali v. grandi capitali

June 17, 2015

Economia

(free) Intervista a Giuseppe Castagna, Consigliere Delegato BPM

– di Andrew Spannaus –

Lo scorso gennaio abbiamo pubblicato un articolo sulla Riforma delle Banche Popolari, in cui l’autore Nicola Oliva sottolineava che il Decreto del Governo tende a negare il pluralismo bancario e che verosimilmente l’effetto ultimo sarà di trasferire fette del sistema bancario italiano alle grandi banche internazionali. Questa trasformazione viene giustificata con la necessità di crescere e competere sui mercati, oltre a rimuovere quelle strutture che portano alla corruzione guidata dagli interessi locali. Si ignorano però i dati che indicano il ruolo economico importante delle banche più piccole, che durante la crisi hanno mantenuto o addirittura aumentato il credito, a differenza degli istituti più grandi.

Abbiamo avuto la possibilità di intervistare il Consigliere Delegato della Banca Popolare di Milano (BPM) Giuseppe Castagna, per capire come viene vista la situazione da parte di un protagonista di questo processo di trasformazione. Chi si aspetta di trovare un difensore di un sistema bancario differenziato, in cui le Popolari dovrebbero conservare la loro identità come istituti più locali rispetto alla spinta verso la creazione di pochi poli bancari molto grossi, sarà deluso. Infatti Castagna – arrivato a BPM proprio a gennaio quando venne emanato il Decreto – approva in pieno la riforma inaugurata dal Decreto del Governo Renzi, affermando la necessità di staccare l’attività bancaria dagli interessi locali che interferiscono con il buon lavoro bancario.

Tuttavia nelle sue risposte emergono delle apparenti contraddizioni – rilevate anche da Castagna stesso – che ha solo critiche per le “lobby” locali, ma che considera il rischio della mala gestione bancaria non limitata alla forma cooperativa. In fondo riconosce anche l’importanza di istituti come le BCC, che fanno un servizio che non potrebbe essere portato avanti da chi è soggetto alle stesse regole e normative delle grandi banche che dominano il mercato.

Seguono stralci dell’intervista, condotta a Milano il 10 giugno. Si parte con la sua spiegazione generale delle motivazioni dietro al Decreto per trasformare le Banche Popolari in Spa

Castagna: Tra le banche italiane Intesa San Paolo ha 50 miliardi di capitalizzazione di borsa, Unicredit poco più di 40, e la terza banca è UBI Banca, una grandissima banca ma con 6 miliardi di market cap. Poi ci siamo noi con 4 miliardi – ora 4 miliardi, un anno fa eravamo ad 1,8 miliardi. Quindi eravamo veramente microscopici. […]

Io penso che Renzi abbia detto: abbiamo un sistema abbastanza strano. A parte noi solo la Germania ha una frammentazione così forte, però sappiamo che la Germania oggettivamente è più forte; il sistema delle Landesbank è un po’ differente, ha più supporto dallo stato.

In Italia, che è un paese economicamente non così forte, se invece di avere 600 banche piccole – a parte le BCC, che secondo me è giusto che ci siano – se invece di avere 80 banche piccole hai 5, 6 o 7 banche più grandi secondo me riesci a fare molto di più il tuo mestiere.

Spannaus: Ci sono stati degli studi, per esempio quello della CGIA di Mestre, che dicono che durante la crisi le Popolari sono state le uniche ad aumentare il credito. Alcuni invece mettono in discussione questi dati. Prima domanda: è vero o non è vero? E se è vero perché?

Castagna: Io sono molto scettico su questa affermazione….

I problemi ci possono essere a prescindere se siamo popolari o meno. L’esempio che cito sempre è che prima della mia esperienza a Intesa San Paolo ho fatto il direttore generale del Banco di Napoli che opera soltanto a Sud. Pur essendo un Spa gestito al 100% come Spa facevo operazioni che non potevo fare da nessun’altra parte. Quindi dipende dal modello di business che si dà la banca. Non è perché sei popolare sei vicino al territorio.

Tutte le banche, anche Intesa San Paolo ha una divisione che si chiama banca dei territori, che vuole fare competizione con le Banche Popolari, con le vecchie banche che dicono di fare le banche locali…

Dall’altra parte invece c’è la parte negativa di essere troppo radicate sul territorio. C’è il discorso di lobby, di politica, di interessi locali che vediamo hanno portato a dei disastri su banche troppo locali, gestite troppo a livello locale.

Ci sono problemi nati da un eccessivo localismo.

Quindi io penso che il mestiere bisogna farlo bene; poi se ti chiami Spa o Popolare, non penso che dipenda da quello se fai un buon lavoro…

Spannaus: Quindi è stato necessario fare il Decreto, la trasformazione? Le BCC, le Popolari rappresentavano un problema oggettivo per il paese?

Castagna: Per me sì. C’è un limite di dimensioni, come ho detto precedentemente. Poi c’è anche un limite di sana gestione della banca. La banca che si concentra troppo solo sul territorio rischia innanzitutto di recepire immediatamente i segnali di crisi del territorio, e quindi o smette di fare credito o continua a farlo e contribuire ad una situazione diciamo poco felice del territorio.

E secondo, potrebbe essere molto influenzata da delle lobby locali che in qualche modo fanno fare credito anche quando questo credito non si dovrebbe fare.

Ma sia per le Spa sia per le Banche Popolari. E lì entra il discorso governance che è molto importante.

Dopodiché uno potrebbe dire allora non c’era bisogno di fare la legge… Probabilmente sì perché abbiamo visto che negli anni nessuno voleva cambiare da solo. Allora questa spinta verso la trasformazione ci obbliga a riflettere su questi temi.

Spannaus: Il sistema del voto capitario dovrebbe garantire la rappresentanza anche degli azionisti più piccoli.

Castagna: In teoria è così ma in pratica io nel consiglio delle banche non ho mai visto i piccoli azionisti. Ho sempre visto delle lobby, dei centri di potere, una volta erano i politici, una volta erano i sindacati, una volta le associazioni di categoria….

Comunque se fosse possibile – non dipenderà solo da noi – secondo me è corretto pensare ad una continuazione di una presenza capitaria in qualche modo.

Il vero problema è: come fanno questi signori a nominare uno che rappresenti veramente quel capitale? Non diventerà anche quello un posto a disposizione delle varie lobby?

Spannaus: Le BCC devono cambiare anche loro? Sappiamo che stanno preparando l’autoriforma, chiesta da un Governo che evidentemente non avrebbe problemi a procedere con un altro decreto se necessario.

Castagna: Io penso che bisogna avere i due estremi: bisogna avere le banche grandi e le BCC. Le BCC in effetti fanno un servizio al territorio vero, nel senso che la drogheria che apre nel paesino difficilmente se si presenta alla banca potrà trovare lo spazio e l’attenzione, la conoscenza, almeno per ora. Poi magari tra qualche anno cambierà.

Oggi le BCC effettivamente svolgono un servizio al territorio. E’ ovvio che se devono essere soggette anche loro alla mole enorme di normative e di regolamentazione a cui siamo soggetti noi non possono che costituire una sorta di holding che si occupa di questo, perché i costi sono spaventosi.

________

Dunque l’obiettivo principale di Castagna sembra essere di rimuovere l’influenza perniciosa degli interessi locali, che interferiscono con la sana gestione delle banche. Vede nei rappresentanti locali delle “lobby” che perseguono per forza interessi che distorcono il corretto funzionamento del sistema finanziario.

Non abbiamo dubbi che in Italia – e anche altrove – esistono strutture locali di potere e numerosi gruppi che fanno soprattutto l’interesse proprio, ma fa specie sentire dire da chi lavora nelle grandi banche che i sindacati e gli imprenditori sono delle lobby pericolose, soprattutto considerando lo strapotere della grande finanza che prima ha provocato un crac finanziario ed economico per mezzo mondo con le pratiche della speculazione, e poi è riuscita a bloccare le riforme incisive del sistema da parte dei governi.

E’ vero che in Italia non si sono visti gli stessi disastri come in altri paesi occidentali, ma gli effetti sono stati pagati da tutti, in termini di salvataggi a livello europeo, di austerità per rispondere alla crisi, e di restrizione del credito a causa di un sistema pieno di debiti inesigibili. Per non parlare dei fardelli provocati dai meccanismi speculativi forniti dagli emettenti dei derivati e dagli advisor internazionali, sia per i Comuni che per quelle banche italiane che sono entrate in crisi; la corruzione degli interessi specifici è sicuramente un problema, ma in alcuni casi la situazione è sfuggita di mano proprio grazie all’aiuto dei colossi speculativi mondiali (si pensi ai derivati del Mps).

C’è un dibattito continuo in Italia sulla difficoltà di combattere gli interessi specifici. Sentiamo tutti i giorni dei casi di corruzione, di mala gestio di vario tipo. Di solito la soluzione che viene proposta è un cambiamento strutturale. E se ben guardiamo negli ultimi vent’anni quei cambiamenti hanno spostato l’asse del potere sempre di più verso i grandi capitali e i mercati finanziari.

Sarà che sono più efficienti, ma spesso sembra che si butti il bambino con l’acqua sporca, e non proprio a caso; fa comodo eliminare l’ostacolo all’entrata della grande finanza in tutti i settori dell’economia.

Consideriamo i cambiamenti avvenuti dagli anni Novanta, dopo Tangentopoli e il periodo di riforme che dovevano modernizzare il paese.

Prima c’era la corruzione tra aziende di stato e politica, c’erano i carrozzoni dello stato, l’eccessivo clientelismo e tutto il resto; la risposta è stata di eliminare le partecipazioni statali, per accedere all’efficienza e alla giustizia dei mercati.

Un altro perno è quello delle politiche di bilancio. Siccome i politici devono rispondere in qualche modo alla gente, alle istanze sociali, allora occorreva fissare delle regole automatiche per gestire l’economia, da Maastricht al Fiscal Compact, ancora meglio se gestite dai tecnici in grado di fare le “scelte difficili”. Il risultato però è stato contrario a quello prospettato. La corruzione rimane, ma le condizioni economiche di tutti sono peggiorate.

E’ vero che ci sono persone e strutture di potere che bloccano il cambiamento, ma quando si cambia il sistema economico e finanziario bisogna definire bene quale obiettivo si intende perseguire; altrimenti si rischia di fare il gioco di chi pensa solo di fare soldi su soldi, tagliando fuori il passaggio “corrotto” (per definizione) tra la gente e l’economia reale.

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