Le proteste contro Wall Street; trovare il coraggio per cambiare

October 2, 2011

Politica

Dopo aver guardato qualche traccia video delle proteste pacifiche a New York, sotto la bandiera di “Occupy Wall Street”, ammetto che il mio primo istinto è di prendere l’aereo e andare a partecipare. Da quello che si è visto negli ultimi giorni almeno, le proteste crescono – non ci sono provocazioni tipo “black bloc” che in altre circostanze hanno snaturato il significato delle manifestazioni – e le autorità pubbliche reagiscono in modo incoerente arrestando dei giovani in modo dimostrativo anche in assenza di comportamenti illegali. Considerando il fatto che la JP Morgan ha recentemente fatto una donazione di 4,6 milioni di dollari alla NYPD (New York Police Department), forse si può capire il perché di tanta ansia per fermare le proteste che rischiano di allargarsi a macchia d’olio nel momento in cui la disoccupazione, i tagli di bilancio e la povertà aumentano in continuazione.

Infatti, a prescindere dai dettagli delle manifestazioni, quello che è significativo è la crescita naturale di queste proteste, che ricordano quelle degli Indignados in Spagna, Grecia e numerosi altri paesi schiacciati dalla crisi finanziaria globale negli ultimi mesi.

Da americano, non avevo dubbi che la popolazione avrebbe cominciato a ribellarsi; la questione rimane sempre quale forma prenderà una tale ribellione? La giusta indignazione contro il rifiuto da parte del Governo e del Congresso di affrontare la crisi alla radice, con misure che riorganizzino il sistema per tornare alla crescita dell’economia reale, può prendere diverse forme. Abbiamo già visto la rabbia della popolazione nei comizi locali dei parlamentari, la nascita del Tea Party, le forti critiche dei leader neri allo stesso presidente Obama, e ora le proteste per strada. Si spera che rimangano pacifiche, ma soprattutto occorre dare una risposta vera a queste istanze, non permettendo che i moti popolari vengano deviati a favore di cambiamenti finti o anche peggiorativi, come già sta avvenendo in alcuni casi.

Se le istituzioni continueranno ad evitare di svolgere il loro dovere, parlando di rigore contabile e di asservirsi alla richieste dei “mercati”, peggiorando così ancora di molto il tenore di vita della popolazione, la situazione potrà sfuggire al controllo, come si è visto numerose volte nella storia. Negli USA abbiamo fatto la Rivoluzione contro l’Impero britannico, portando alla creazione di una vera repubblica, pur con tutti i suoi problemi; a fine ‘700 in Francia, la protesta è andata diversamente, portando ad una dittatura e poi alla restaurazione dell’impero.

Da americano in Italia mi chiedo quando i cittadini di questa nazione (sperando che si possa ancora chiamarla in questo modo) decideranno che “enough is enough”. Le imposizioni delle istituzioni sovrannazionali non porteranno a niente di buono; basta vedere il tracollo della Grecia nell’ultimo anno, paese che ha accettato e attuato le ricette per il “risanamento” del FMI e della BCE.

Non si tratta di andare a spaccare le vetrine e bruciare le automobili, azioni assolutamente inutili, naturalmente. Si tratta di non accettare le bugie, di esigere delle risposte vere, di creare una nuova leadership in grado di onorare la storia di questo Paese e il futuro dovuto ai suoi figli.

Dalla Confindustria, ai liberalizzatori dell’opposizione, a molti esponenti della maggioranza, vediamo che da tutte le parti si invocano proprio quelle misure mercatiste che sono alla base della crisi stessa. Non basteranno mai le “riforme strutturali” richieste dalla finanza, che mira solo a tenere in piedi il proprio sistema di potere, già in avanzata fase di crollo. I rappresentanti pubblici devono smettere di credere di salvare se stessi attaccandosi al Titanic guidato da Francoforte e Bruxelles (con gli armatori alla City di Londra e a Wall Street), e la popolazione deve costringerli a farlo, oppure sostituirli.

In Italia si sta ancora bene, dicono molti, ma di questo passo non durerà a lungo, e ad un certo punto, quando ci si accorgerà che non si sta affatto bene, potrebbe essere troppo tardi.

Andrew Spannaus

2 ottobre 2011

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