In arrivo il governo dei banchieri?

April 29, 2011

Politica

Dietro allo scontro politico italiano lo spettro della “cura greca” chiesta dalla finanza internazionale

17 novembre 2010 – Un’analisi attenta della politica e della storia ci deve sempre portare a guardare i processi sottostanti, e non solo gli eventi particolari. Seguendo questo metodo socratico diventa facile capire come il subbuglio creatosi tra i partiti italiani nel periodo recente ha poco a che fare con gli scandali di Berlusconi e Fini, o anche con le posizioni (molto mutevoli) adottate dai leader di partito da un giorno ad un altro. La realtà è che da molti mesi è in atto un processo inteso a sostituire il governo italiano con un esecutivo tecnico, con il compito di attuare “riforme” urgenti che sono ben più difficili da attuare quando i partiti devono rispondere direttamente ai propri elettori.

Basta uno sguardo veloce oltre ai propri confini per capire la direzione generale. Mentre il governatore della BCE Trichet chiede tagli alle pensioni, e i “mercati” esigono credibilità nel ridurre i deficit di bilancio, sono stati annunciati piani di austerità in numerose nazioni. I casi menzionati sulla stampa sono solo quelli dove le resistenze della popolazione sono più forti, per esempio il Regno Unito, la Francia, e la Grecia. Negli Stati Uniti la Commissione Fiscale istituita dal presidente Barack Obama ha cominciato ad annunciare le sue proposte di forti tagli alla spesa statale, a partire dalla Social Security (beninteso, difendendo la riduzione delle tasse per i più ricchi, ma senza considerare misure contro la speculazione finanziaria). Così, la situazione italiana va vista nel contesto di una spinta internazionale verso misure di austerità pesanti, guidata proprio da quegli interessi finanziari che da decenni vedono nello Stato l’ostacolo principale alla loro “libertà” di mercato.

Da questo punto di vista il Governo Berlusconi rappresenta un impedimento alle misure richieste. Certo, sotto la minaccia di un attacco al debito pubblico italiano l’esecutivo ha già seguito una linea di rigore, bloccando gli investimenti che sarebbero necessari per l’economia reale. Per non parlare del fatto che i margini di manovra dei governi nazionali sono stati ridotti di parecchio dalla normativa comunitaria, in cui si sono codificate le politiche in stile FMI che mirano a gestire i parametri monetari a prescindere dalla progressiva distruzione di ricchezza nell’economia reale. Ma la finanza internazionale non si fida di questo governo, e in modo particolare del Ministro dell’Economia Giulio Tremonti. Si ricordi che l’Italia è stata tra i pochi paesi a non rifinanziare le banche durante la crisi degli ultimi tre anni; i cosiddetti Tremonti Bonds, che impongono dei vincoli a favore dell’investimento produttivo, non sono stati accettati dalle più grosse banche italiane, e hanno provocato uno dei tanti scontri pubblici tra il Ministro e Mario Draghi, che si è lamentato dell’interferenza politica nell’economia. E la cooperazione internazionale portata avanti dall’Italia in zone difficili – per esempio con Vladimir Putin e la Russia – dà non poco fastidio ai manipolatori della geopolitica a Washington, Londra e Bruxelles.

Gli alleati della City puntano alla formazione di un governo tecnico, per gestire l’emergenza. I partiti di opposizione ci pensino bene prima di accettare una tale soluzione nella speranza di cambiare la legge elettorale; basta ascoltare attentamente le dichiarazioni di alcuni politici di peso (anche tra le proprie file) per capire che i compiti di un esecutivo tecnico andrebbero ben oltre. Si parla di emergenza economica, dei governi tecnici degli anni Novanta come punto di riferimento, e di riforme strutturali per garantire la stabilità del paese.

Quali sarebbero queste riforme strutturali? Di nuovo, la lista è già stata resa pubblica: tagli pesanti alla previdenza sociale, la privatizzazione delle municipalizzate (bloccata dalla Lega Nord), e l’ulteriore liberalizzazione di ogni servizio pubblico. I nomi più accreditati sono quelli di Mario Draghi e Luca Cordero di Montezemolo. Il modello economico del primo è ben noto: la correttezza delle regole per garantire che la speculazione mantenga il dominio sull’economia produttiva; per quanto riguarda il secondo, considerando come intende mettere le mani sui profitti dell’alta velocità ferroviaria – lasciando allo Stato gli investimenti e le perdite – si capisce dove ci porterebbe.

Una recente mozione presentata da Francesco Rutelli al Senato parla chiaro:

… e) le liberalizzazioni sono urgenti, e va tradotta in disposizioni legislative la segnalazione al Governo del febbraio 2010 da parte dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato, riguardante i mercati dei servizi pubblici (postali, ferroviari, autostradali e aeroportuali), energetici (carburanti e filiera del gas), bancario-assicurativi, degli affidamenti pubblici e di tutela dei consumatori. Vanno recepite nella Costituzione le norme dei Trattati UE sulla concorrenza. Vanno rafforzate le norme in materia di servizi pubblici locali: troppi monopoli stanno spingendo verso l’alto le tariffe… ” (1-00314 del 6 ottobre 2010).

L’incessante richiesta di liberalizzazioni e tagli alla spesa pubblica è il marchio di fabbrica di coloro che hanno creato la crisi economica attuale, ben lontani dalle misure rooseveltiane che potrebbero innescare una ripresa vera. Niente investimenti pubblici, niente misure punitive contro la speculazione finanziaria, e niente protezioni per i settori produttivi. È la “mano invisibile” che porta via l’industria e i risparmi…

I politici di tutti gli schieramenti farebbero bene a guardare oltre quello che al momento sembra il loro interesse particolare, e chiedersi se non sarebbe ora di incentrare il dibattito pubblico sui contenuti veri dietro ai disegni portati avanti in questo momento: in primo luogo, per onestà, perché la popolazione ha il diritto di sapere le conseguenze vere degli scontri in atto; perché, inoltre, in questo modo, le forze che si ispirano ancora al bene comune potranno trovare il sostegno necessario per bloccare un progetto che sarebbe disastroso per il paese.

Andrew Spannaus
15 novembre 2010

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