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Putin e la politica americana

July 25, 2016

Politica

(free) – analisi di Andrew Spannaus –

I rapporti tra gli Stati Uniti e la Russia stanno diventando un fattore importante nella campagna elettorale americana. Mentre l’Amministrazione Obama cerca di intensificare la cooperazione con i russi per raggiungere una pacificazione della Siria, la linea morbida di Donald Trump verso la Russia è sotto tiro da parte dei grandi giornali, evidenziando una convergenza parziale tra la politica attuale della Casa Bianca e quella del candidato repubblicano. Una grossa fetta delle istituzioni americane assiste inorridita ai recenti sviluppi, essendo legata ancora ad una posizione interventista che vede la Russia come il nemico geopolitico principale degli Stati Uniti.

Sul fronte siriano la collaborazione diplomatica che passa per John Kerry e Sergei Lavrov ha fatto un altro passo in avanti nelle ultime settimane. Da maggio i due paesi discutono di come coordinare meglio il lavoro in Siria, per sbloccare la situazione perchè l’accordo per la “cessazione di ostilità” viene violato in continuazione.

Dopo la proposta iniziale del Ministro della Difesa russo Sergey Shoigu del 20 maggio di condurre degli attacchi aerei congiunti, agli inizi di luglio la Casa Bianca ha fatto sapere di aver trasmesso una proposta formale ai russi: coordinamento dei raid aerei contro il Fronte al-Nusra in cambio di un impegno da parte della Russia di evitare che il regime siriano attacchi le forze non-jihadiste che sono disposte a rispettare il cessate-il-fuoco.

Ci sono numerosi elementi nel Pentagono, nel mondo dell’intelligence e della diplomazia che sono scettici di questo nuovo passo, in linea con la loro opposizione generale alla svolta diplomatica dell’Amministrazione Obama a partire dal 2013, che ha portato all’accordo con l’Iran e alla pur fragile alleanza anti-terrorismo con Vladimir Putin.

Per quanto riguarda Donald Trump le preoccupazioni dell’establishment sono ancora più forti, naturalmente. Solo nell’ultima settimana ci sono stati articoli durissimi del Washington Post, del New York Times e di The Atlantic accusando il candidato repubblicano di abbandonare la tradizionale linea di politica estera americana essenzialmente per fare le volontà di Putin.

E’ iniziata una battaglia sul programma ufficiale del partito repubblicano per le elezioni di novembre, la “piattaforma”. Durante l’incontro della commissione sulla sicurezza nazionale del partito è stato proposto un emendamento con varie misure per punire la Russia per il suo ruolo in Ucraina, tra cui la fornitura di “armi letali di difesa”, punto caro a chi crede di poter risolvere la situazione ucraina con una escalation militare.

I rappresentanti di Trump hanno imposto delle modifiche all’emendamento, sostituendo le armi letali con la più innocua “assistenza appropriata”. In merito a questo cambiamento, il Washington Post ha scritto: “la posizione ufficiale del partito repubblicano sulle armi all’Ucraina sarà in contrasto con quella di quasi tutti i leader del partito sul tema della sicurezza nazionale”.

Il giornalista Josh Rogin, che chiaramente privilegia la linea più aggressiva, ammette però che Trump “non è l’unico politico che si oppone all’invio di armi letali all’Ucraina. Il presidente Obama ha deciso di non autorizzare [questo tipo di assistenza], nonostante i consigli da parte dei funzionari più importanti nel Dipartimento di Stato e nelle forze armate che hanno a che fare con l’Europa”.

Pochi giorni dopo Trump ha sollevato nuove preoccupazioni con le sue dichiarazioni sul ruolo della Nato, espresse in un’ intervista al New York Times del 20 luglio. Le frasi più discusse riguardano la condizione posta dal candidato per l’assistenza ai nuovi membri della Nato di fronte alla potenziale aggressione russa. Trump ha affermato che li aiuterebbe “se hanno tenuto fede ai loro obblighi nei nostri confronti”.

Queste parole sono coerenti con la sua posizione che gli Stati Uniti non continueranno a fornire protezione a numerosi paesi nel mondo se gli alleati non contribuiranno di più a pagarne i costi. E’ una espressione più radicale del concetto già espresso in ambito Nato con l’impegno dei paesi membri di dedicare almeno il 2% del Pil alla difesa. Trump ribalta la discussione però, presentando gli Usa come alleato riluttante, piuttosto che come il paese che sprona gli altri a prepararsi.

Le posizioni di Trump hanno portato il giornalista Jeffrey Goldberg di The Atlantic a scrivere che “Donald J. Trump ha scelto questa settimana di smascherarsi come difatti un agente del presidente russo Vladimir Putin, un dittatore addestrato dal KGB che mira a ricostruire l’impero sovietico minando la libertà delle nazioni europee, marginalizzando la Nato, e ponendo fine al regno americano come l’unica superpotenza mondiale”.

Goldberg afferma che la visione del mondo espressa da Trump è in linea con gli interessi geostrategici della Russia, e che le critiche mosse da Trump alla democrazia americana – per esempio in tema dei diritti civili e della violenza che coinvolge i poliziotti – sono le stesse del Cremlino.

Goldberg è il giornalista che pubblicò la famosa intervista con Barack Obama nel marzo di quest’anno, in cui il presidente spiegò la sua svolta diplomatica e rivendicò le sue aperture alla Russia sulla Siria.

Nonostante alcune similitudini con la posizione di Obama, evidentemente Trump è andato troppo in là, non solo indicando una nuova politica estera, ma rinunciando alla consueta attenzione per temi come la democratizzazione, la corruzione e il cambiamento di regime.

E’ indubbio che le affermazioni di Trump siano forti e fuori dai canoni della politica estera americana degli ultimi decenni, ma a guardar bene riflettono gli stessi punti – seppur in modo più rozzo – su cui è già in atto una svolta all’interno delle istituzioni americane.

– Newsletter Transatlantico N. 52-2016

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