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Le parole di Biden: gaffe o messaggio?

March 31, 2022

Notizie, Politica, Strategia

(free) – di Andrew Spannaus –

La domanda che si fanno tutti in questi giorni è quanto fosse intenzionale la frase pronunciata dal presidente americano Joe Biden durante il discorso a Varsavia lo scorso 26 marzo, in cui ha detto che il presidente russo Vladimir Putin “non può rimanere al potere”. La frase non era nel discorso preparato di Biden, e quindi la Casa Bianca e il Dipartimento di Stato possono ben affermare che non fosse da interpretare come un cambiamento ufficiale della politica americana verso la Russia, come sottolineato dai titoloni dei grandi giornali americani nel giorno successivo. Ma la domanda rimane: se Biden ha parlato “dal cuore”, come ha spiegato anche la portavoce della Casa Bianca Jen Psaki, allora riflette veramente le intenzioni del presidente americano?

Per dare una risposta a questa domanda, può essere d’aiuto rivedere l’evoluzione della posizione di Biden, e dei suoi predecessori, negli ultimi anni. L’approccio dei presidenti americani è infatti cambiato nel tempo, da un tentativo di seguire una linea più “realista” – cioè che riconosce in qualche misura le preoccupazioni russe in merito all’allargamento della Nato – verso quella di un netto contrasto alla Russia nel contesto della battaglia tra le democrazie e le autocrazie, che ora è la visione dominante nelle istituzioni di Washington.

Tutte le amministrazioni degli ultimi anni hanno tentato di migliorare i rapporti con la Russia, come tutte hanno in qualche modo fallito a causa di una combinazione di eventi esterni e delle reazioni agli stessi all’interno dell’establishment americano. Durante la presidenza di Barack Obama ci fu il tentativo di “reset” dei rapporti tra i due paesi, e Obama si rivolse a Putin per aiutarlo ad uscire dalla situazione difficile in Siria, lavorando insieme sull’intesa per rimuovere le armi chimiche che il presidente americano utilizzò per giustificare la decisione di non intervenire militarmente contro Bashar al-Assad. Le proteste di Piazza Maidan e poi il cambio di governo violento a Kiev cambiarono la situazione, spingendo Obama verso una situazione conflittuale che – nonostante qualche residuo tentativo di collaborare in Siria – finì per prendere il sopravvento negli ultimi anni della sua presidenza.

Tuttavia è importante ricordare che Obama si rifiutò di approvare l’invio di armi “letali” all’Ucraina, limitando l’assistenza a materiale sì importante, come l’elettronica e altri tipi di attrezzature, ma non da utilizzare direttamente per combattere. Il motivo dichiarato fu proprio di evitare di militarizzare lo scontro, mentre le proteste contro questa reticenza crescevano rapidamente nel mondo politico e dei think-tank americani.

Poi arrivò la sorpresa di Donald Trump, che voleva trattare con Putin – fino al punto di ipotizzare un accordo sul riconoscimento della Crimea – e criticava l’orientamento verso Est della Nato. Ci fu uno spostamento importante delle attenzioni verso l’Asia, ma le resistenze delle istituzioni americane alle aperture di Trump nei confronti di Mosca furono forti, come visto anche dalle continue pressioni degli scandali Russiagate, creando un clima in cui la ricerca del dialogo con la Russia veniva considerata alla stregua del tradimento del paese. Questa situazione portò ad un peggioramento dei rapporti e alla decisione da parte di Trump di approvare il trasferimento di armi all’Ucraina, contribuendo all’aumento delle tensioni fino al punto di oggi. E’ tristemente ironico che Trump, il primo presidente in oltre quarant’anni a non iniziare una nuova guerra, e quello che più di altri ha insistito sul ritiro delle truppe dall’estero, abbia dato un contributo importante all’aumento delle tensioni in Ucraina.

Joe Biden aveva espresso posizioni realiste in passato in merito all’allargamento della Nato: è famoso il suo discorso del 1997 in cui parlò di una potenziale “risposta vigorosa e ostile” da parte della Russia nel caso dell’entrata degli stati Baltici nell’Alleanza Atlantica. Negli ultimi anni non si è risparmiato le battute negative su Putin, ma nel giugno dell’anno scorso – come sanno bene i lettori di Transatlantico.info – diede inizio ad un processo di dialogo con il presidente russo che sembrava molto promettente: il Strategic Stability Dialogue, in cui i due leader si sono parlati più volte e la collaborazione tra Mosca e Washington ha visto un balzo in avanti in aree importanti quali le trattative con l’Iran, il controllo degli armamenti, e anche il contrasto agli attacchi cyber.

Dunque fino a pochi mesi fa Biden sperava nella cooperazione con Putin, ma oggi definisce il presidente russo un macellaio senza il diritto di rimanere alla guida della Russia. In mezzo c’è la guerra, naturalmente, quindi un cambiamento è comprensibile; ma il giudizio così netto di oggi, che non sembra lasciare spazio ad alcun dialogo, contrasta fortemente con l’atteggiamento di Biden appena pochi mesi fa. E non può che riportare alla mente la situazione simile in cui si trovò Barack Obama nel 2014, passato dalla collaborazione al conflitto anche lui nello spazio di pochi mesi, sempre a causa degli eventi in Ucraina.

La strategia scelta dall’amministrazione Biden nella crisi attuale è stata di non offrire concessioni significative a Mosca, ma piuttosto di svelare pubblicamente l’intelligence sulla possibile invasione, ed ammonire delle conseguenze. Ora quelle conseguenze sono messe in atto, con una serie di misure molto forti per danneggiare e isolare la Russia, principalmente a livello economico. La Nato è ricompattata e rinvigorita (per i prossimi decenni, si dice a Washington), mentre la Cina ha difficoltà a bilanciare la necessità di sostenere Mosca politicamente con la volontà di evitare un trattamento simile da parte dei paesi occidentali. Gli americani considerano l’invasione un serio errore da parte di Putin che sta già producendo dei vantaggi per l’Occidente. Ha senso spingersi ancora oltre, ed ipotizzare un’operazione per rimuovere il leader russo? Sarebbe folle pensare di intervenire per far fuori Putin, come spiegato da Biden stesso numerose volte, quando ha sottolineato la necessità di evitare uno scontro militare diretto tra Nato e Russia. Ma questo non significa che a Washington non si ipotizzi un cambiamento di regime a Mosca; un cambiamento che verrà dall’interno però, grazie all’indebolimento del presidente russo presso il proprio pubblico e in particolare ai dissidi creati tra lui e i leader militari e dell’intelligence. Sicuramente Biden crede che Putin sia andato troppo in là questa volta, ma vista la sua esperienza e il continuo tira e molla tra le posizioni realiste e quelle più interventiste nelle istituzioni americane – che hanno coinvolto Biden in prima persona – l’attuale inquilino della Casa Bianca è anche ben consapevole di come siamo arrivati qui. In questo contesto possiamo concludere che le parole di Biden esprimono sì lo sdegno morale per gli orrori della guerra, ma anche che l’errore che ha commesso è stato più che altro di dire a livello pubblico quello che sarebbe meglio lasciare non detto, ma che si discute dietro le quinte nella sua amministrazione.

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