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La scelta italiana di rompere (o quasi) con la Cina

December 11, 2023

Politica

– di Paolo Balmas –

L’Italia è stata una delle poche firmatarie in Europa occidentale, l’unica fra i G7, del progetto della Belt and Road Initiative (BRI) lanciato dalla Cina nel 2013. La BRI, da Cintura economica per unire il continente eurasiatico sotto l’insegna del libero commercio, della cooperazione e della competizione leale, si è trasformata in un programma i cui confini non sono più facilmente delineabili, soprattutto perché di questo programma si chiacchiera tanto senza comprendere veramente. Prima di tutto bisogna capire che la BRI ha una connotazione geografica, cioè la sua implementazione in paesi sub-sahariani è diversa da quella in Europa, in Asia o in Sud America. In generale, l’obiettivo principale è quello di migliorare le infrastrutture per agevolare il traffico commerciale e le comunicazioni. Secondo, la natura degli investimenti delle banche di sviluppo cinesi non segue la logica dell’economia di sviluppo ideata a Bretton Woods nel 1944 e poi messa in atto attraverso istituzioni multilaterali con richieste anche di adattamento delle forme di governo e delle economie di molti paesi. Tale sistema è conosciuto come Washington Consensus. Si offrono aiuti economici a paesi meno sviluppati in cambio di adesione a regole internazionali che sono volte a mantenere le monete locali svalutate per agevolare l’estrazione di materie prime; si scoraggia sistematicamente lo sviluppo di un sistema bancario locale capace di realizzare un’economia indipendente. In sostanza, si creano meccanismi di austerity per assicurare una dipendenza dal credito esterno.

In questo stato di cose, si è inserita la Cina con la BRI e la visione di un mondo unito pacificamente sotto il segno del libero commercio. Sembra una contraddizione visto che tutti pensiamo ancora che la Cina sia un paese marxista leninista. Ma i tempi sono cambiati da decenni. La Cina ha cambiato il suo sistema e soprattutto ha studiato a fondo l’Occidente. Ha usato i suoi stessi sistemi e, con un pizzico di furbizia e con razionalità, è diventata competitiva sul piano dello sviluppo economico internazionale. La Cina è andata in quei paesi che del resto già conosceva (e che chiamava Terzo Mondo, oggi in modo più globalizzato Global South), e ha offerto contratti meno vantaggiosi. Cioè, invece di offrire aiuti a tassi estremamente bassi ha offerto prestiti a tassi maggiori. La grande differenza è che non chiedeva cambiamenti politico economici.

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