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Il Partito comunista cinese punta sulle grandi imprese di stato

May 7, 2023

Economia, Notizie

– di Paolo Balmas –

In un recente articolo pubblicato dalla rivista bimestrale Qiushi, che tratta le teorie politiche economiche del Partito comunista cinese (Pcc), si legge che le grandi imprese di stato sono la spina dorsale dell’economia cinese e che devono rafforzarsi ed espandersi pur rimanendo di proprietà dello stato. Sono al centro del processo di ammodernamento del sistema economico socialista ‘con caratteristiche cinesi’ e rappresentano una ‘garanzia istituzionale’ affinché tutti i gruppi etnici cinesi godano dei frutti dello sviluppo economico. L’articolo è stato scritto da esponenti della Sasac, la commissione del Consiglio di Stato cinese che si occupa della gestione degli asset di proprietà statale. Questi indicano le imprese di stato (quelle centralizzate che operano a livello nazionale, distinte da quelle di proprietà dei governi provinciali) come gli strumenti per assicurare la trasformazione economica e tecnologica che la Cina sta affrontando negli ultimi anni.

Il compito principale delle imprese di stato è di concentrarsi sull’innovazione, specialmente lo sviluppo di nuove tecnologie, dalla quale la politica industriale cinese deve trarre ispirazione. Il Pcc insiste sulla necessità di sfruttare l’intelligenza artificiale e risorse energetiche alternative, di sviluppare nuovi materiali e biotecnologie, sempre avendo in mente le priorità imposte dal rispetto dell’ambiente. Difesa e sicurezza, inclusa la sicurezza alimentare, sono parte integrante degli obiettivi di sviluppo dell’economia cinese. Riferimenti a infrastrutture d’avanguardia riguardano le telecomunicazioni e lo sfruttamento delle acque. Se da un lato il Pcc considera le grandi imprese di stato come la garanzia per uno sviluppo dell’economia socialista con caratteristiche cinesi, dall’altro la loro esistenza continua a essere criticata (e spesso non interamente compresa) da parte degli osservatori esterni.

In Occidente in generale queste imprese appaiono come dei carrozzoni sostenuti da finanziamenti statali contro ogni principio liberale fondato sulla competizione. Se un tempo (ormai lontano) questa descrizione poteva avvicinarsi vagamente alla realtà, oggi è totalmente anacronista. Il rischio è sempre di non comprendere la Cina, con possibili sgradevoli implicazioni per il futuro. Le imprese centrali di stato cinesi sono imprese all’avanguardia che negli ultimi cinque anni sono riuscite a snellirsi e ammodernarsi senza il bisogno di ricorrere alla privatizzazione. Questo processo, di cui si parla poco, per alcuni occidentali (quelli che credono ciecamente nelle formule neoliberiste) si materializza in un marchingegno destinato al fallimento, per altri (quelli più curiosi) è una sorta di mistero. Tutto, comunque, si risolve negli aiuti di stato contrari alle logiche di mercato (competizione sleale) che mantengono in vita imprese morte sin dalla nascita. Purtroppo, non è così.

Negli ultimi dieci anni, le grandi imprese di stato cinesi hanno raddoppiato i loro profitti netti che hanno superato un corrispettivo di 350 miliardi di euro già nel 2022. Il valore degli asset che controllano ha raggiunto quasi gli 11 trilioni di euro, un valore triplicato se confrontato con i 4 trilioni alla fine del 2012. Alcune di queste imprese hanno creato tecnologie avanzate con nuovi standard che minacciano il monopolio delle imprese nordatlantiche a livello mondiale, (si pensi a Huawei con il Polar Code) o a idee innovative come la ‘interconnessione energetica globale’ di China State Grid e la piattaforma per il commercio elettronico mondiale di Alibaba. Non si tratta quindi solo di competizione economica ma anche di idee. Ciò che stupisce e su cui bisognerebbe riflettere è che la crescita media annua degli investimenti strategici in queste imprese è attualmente del 20%. Naturalmente, la Cina guarda sempre con maggiore interesse allo sviluppo delle attività di queste imprese oltre i confini nazionali. Tuttavia, il mercato interno cinese è talmente vasto che ha permesso alle imprese di stato di entrare nelle classifiche delle più grandi del mondo senza essere veramente ‘globali’. La maggior parte delle grandi imprese cinesi non è ancora presente sui mercati mondiali. La trasformazione della governance e il loro snellimento sono in parte pensati per farle divenire più competitive sui mercati internazionali, ma i cambiamenti geopolitici degli ultimi cinque anni rendono l’espansione oltreconfine più incerta. I cambiamenti strategici al Pentagono, il Covid-19 e poi la guerra in Ucraina cambiano gli assetti della globalizzazione in cui le imprese cinesi stavano cominciando a operare. La creazione di un triangolo economico fra Pechino, Mosca e Bruxelles tende a indebolirsi, così lo slancio cinese sui mercati internazionali (uno slancio rallentato, non ancora arrestato). La Cina guarda alla guerra in Ucraina non solo per comprendere il futuro della globalizzazione. Se la ‘balcanizzazione’ della Russia dovesse svilupparsi concretamente, allora la Cina si sentirà molto meno al sicuro e l’espansione internazionale delle sue imprese verrebbe messa seriamente in discussione.

– Newsletter Transatlantico N. 13-2023

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