Ukraine troops

La resistenza ucraina? Tutto secondo i piani (americani)

March 15, 2022

Notizie, Strategia

di Andrew Spannaus

Nelle prime settimane dell’attacco russo all’Ucraina molti sono rimasti sorpresi dalla determinazione e dalla capacità degli ucraini di resistere all’invasione. Da una parte le forze di Mosca hanno avuto dei problemi logistici, qualche differenza all’interno della leadership – i generali russi avevano respinto inizialmente i piani d’invasione – e si sono concentrate su infrastrutture importanti prima di accerchiare le città. Ma è indubbio che gli ucraini hanno avuto dei successi inattesi nell’infliggere perdite alle forze russe, e che Vladimir Putin avrebbe preferito una resa più veloce; ora, come si vede di giorno in giorno, la guerra diventa più pesante per entrambe le parti.

Chi non è sorpreso dalla volontà degli ucraini di difendersi sono le Forze Speciali americane. Infatti sono anni che la SOCEUR (Special Operations Command Europe) addestra le truppe ucraine e aiuta a mettere in piedi una struttura di resistenza che faccia da ponte tra le forze speciali in loco e la popolazione civile, preparando forme di guerra non convenzionale e anche resistenza non violenta tra i cittadini.

Gli organi di stampa nel settore militare americano spiegano che si tratta di strutture formali, incardinate nell’ordinamento legale di numerosi paesi, che sono partite da un obiettivo principe: creare reti di resistenza per rendere troppo costosa un’invasione – dell’Ucraina come di altri paesi dell’Europa orientale, e anche dell’Asia – da parte della Russia o della Cina. Non si pensi ai meccanismi utilizzati durante la Guerra Fredda, reti clandestine come la Gladio. Ora si lavora in modo istituzionale e anche aperto. Nel luglio 2021, per esempio, il parlamento ucraino approvò un documento intitolato “Sui fondamenti della Resistenza Nazionale” con l’obiettivo di sviluppare la difesa del territorio e preparare la popolazione a prendere un ruolo attivo nella resistenza. Oggi c’è anche un sito web attivo, il Centro di resistenza nazionale che viene gestito dalla forze speciali di Kiev.

Il progetto parte dalla Resistance Operating Concept (ROC) – il Concetto operativo di resistenza – sviluppato da un ex colonello dell’esercito americano, Otto Fiala. Da quasi dieci anni le forze speciali americane hanno condotto programmi di addestramento per le forze di sicurezza in Polonia, nei paesi baltici, e nell’Ucraina, con il coinvolgimento di truppe americane, canadesi ed europee; nel 2021 si è tenuta un’esercitazione in Georgia, altro paese che ha una storia recente di scontro militare con la Russia.

Oltre ad addestrare le truppe e la guardia nazionale, le forze speciali stabiliscono metodi di coordinamento con gruppi di volontari che possono imparare le tecniche di azioni come imboscate, sabotaggio e salvataggio di persone in difficoltà. E da tempo si sono creati canali per facilitare la fornitura di armi e fondi. Non manca anche l’aspetto dell’informazione, con un piano per combattere la narrazione avversaria, anche tramite le “operazioni psicologiche”. Infine c’è la resistenza non violenta: si pensi ai video visti in questi giorni, in cui gli ucraini non armati hanno rallentato l’avanzata russa in più punti, bloccando le strade con ogni mezzo disponibile.

Come deterrente, evidentemente il Resistance Operating Concept non ha funzionato. Anzi, la natura pubblica del programma potrebbe anche aver contribuito all’ansia russa di intervenire in Ucraina per evitare di arrivare ad un punto di non ritorno per quanto riguarda la militarizzazione del paese in chiave anti-Mosca. In questi giorni pochi lo dicono, perché siamo in clima di propaganda da entrambe le parti e si passa subito alle accuse di “putinismo” per chi tenta di ricordare come siamo arrivati alla situazione di oggi, ma durante l’amministrazione Obama la prima preoccupazione della Casa Bianca era proprio di evitare di acuire il conflitto a livello militare. Obama si rifiutò di approvare l’invio di armi, anche se permise la fornitura di assistenza “non letale”, cioè veicoli, sistemi elettronici e altro materiale di supporto. Le pressioni furono forti, però, e il suo successore Donald Trump, pur essendo ancora più esplicito nella volontà di evitare le guerre all’estero e anche di mantenere un atteggiamento aperto verso Vladimir Putin, finì per favorire il processo contrario in Ucraina: approvò l’aumento dei programmi di assistenza militare, rimuovendo i freni che avevano bloccato almeno in parte quei settori delle istituzioni americane e della Nato che puntavano a rafforzare le difese ucraine per costringere la Russia ad arretrare. Un evidente errore di calcolo, costatazione che certamente non giustifica l’invasione ordinata da Putin – che tra l’altro rischia di rivelarsi un errore significativo a lungo termine – ma che ci aiuta a guardare il quadro più ampio. L’obiettivo degli Stati Uniti e della Nato è di dissuadere la Russia e la Cina dal tentativo di intervenire militarmente nelle loro presunte sfere d’influenza. La guerra in Ucraina è la prima grande prova del programma ROC. Se i russi fanno molto fatica a domare gli ucraini, nonostante l’evidente superiorità numerica, allora diventa evidente che la minaccia verso altri paesi nella zona preoccupa meno, almeno con le armi convenzionali…

Inoltre, la Cina sta seguendo attentamente quanto succede: oltre alla risposta compatta dell’Occidente nel cercare di isolare la Russia a livello finanziario, c’è la consapevolezza che gli Usa stanno operando programmi ROC in vari paesi asiatici. Agli occhi di Washington ora Pechino dovrà pensarci due volte prima di avventurarsi in un conflitto militare, anche verso la “provincia ribelle” di Taiwan, sapendo che la resistenza non viene alimentata solo dallo spirito patriottico, ma anche da strutture articolate che rientrano in un progetto geopolitico ben più ampio. La domanda è: come reagirà Pechino? Come abbiamo visto in Ucraina, la risposta potrebbe non necessariamente essere l’arretramento.

– Newsletter Transatlantico N. 9-2022

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