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Recovery Fund: il bazooka spuntato

July 25, 2020

Economia, Politica

(free) – di Andrew Spannaus –

I trionfalismi italiani in merito all’accordo raggiunto al Consiglio europeo sul Recovery Fund sono piuttosto rischiosi: i politici della maggioranza esultano e promettono una grande infusione di risorse generando attese tra la popolazione che non saranno facili da soddisfare. Da una parte, c’è la questione dell’impatto effettivo dei fondi, che una volta fatti i calcoli tra calendario, prestiti e rimborsi futuri sono molto meno di quanto possano sembrare, e dall’altra, c’è la questione delle condizionalità, cioè dell’inevitabile ritorno delle pressioni sull’Italia per tagliare il bilancio anche quando significherà meno servizi pubblici e più tasse.

A giugno abbiamo definito un “bluff” il Recovery Fund, indicando le cifre della stessa Commissione Europea che dimostrano che il beneficio netto per l’Italia sarebbe stato di appena 56,7 miliardi sui 153 allora prospettati. Oggi, con l’accordo apparentemente finale, la situazione è decisamente peggiore: se si applica la percentuale del bilancio europeo che l’Italia dovrebbe coprire in base al Pil del 2019, si arriva ad un rimborso di 50 miliardi sul totale di 390 di sussidi. Tolti dagli 80 miliardi che spetterebbero all’Italia, rimangono 30. Per non parlare della quota maggiore che si dovrà pagare per coprire gli sconti (rebates) degli altri paesi, che sembra essere intorno a 7 miliardi. Dunque se va tutto bene, si arriva a 23 miliardi netti, e questo prima di considerare gli altri criteri e le condizioni che saranno rivalutati al momento dell’effettiva erogazione, tra il 2021 e il 2023.

L’Italia è il paese che dovrebbe ricevere di più dal Recovery Fund, ma uno sguardo ai numeri complessivi, prima ancora di considerare le riduzioni calcolate come sopra, dimostra che in Europa si è lontani da quanto fatto altrove. 209 miliardi fanno circa 10,5% del Pil italiano, da erogare a partire dall’anno prossimo. Negli Stati Uniti, all’inizio della crisi, ancora prima che si raggiungesse il livello di gravità odierna, il Congresso ha approvato spese per il 14% del Pil in appena due mesi, da spendere subito. E il prossimo intervento di almeno mille miliardi (quasi 5% del Pil) è già in cantiere.

La visione più ottimista dice che seppur bisognerà certamente ripagare buona parte delle nuove risorse, si tratterà di un’infusione di soldi nel breve termine, con diversi anni prima di dover pensare al rimborso. Questo offre certamente un’opportunità, e il governo dovrà lavorare molto bene per costruire interventi efficaci. Altrimenti sarà inevitabile una reazione negativa da parte degli elettori, che si chiederanno presto perché questa enorme quantità di soldi non sta avendo effetti visibili sulle loro vite. Qui le istituzioni rischiano molto, appunto perché i problemi economici ci sono oggi, e le nuove risorse dovrebbero arrivare solo tra uno, due, tre anni.

E non finisce lì. Il piano che dovrà presentare il governo alla Commissione europea dovrà essere coerente con le “raccomandazioni specifiche” in merito al bilancio pubblico del paese. Gli ottimisti parlano degli aspetti positivi: ricerca, istruzione, innovazione, digitalizzazione. Tutti temi su cui l’Italia farà bene ad investire. Ma le raccomandazioni parlano anche di razionalizzazione dell’Iva e delle agevolazioni fiscali, riduzione della spesa pubblica e interventi sulle pensioni. E rimane la fissa tutta europea: ridurre il debito pubblico. Dunque nuove risorse se fate i tagli, come vuole Bruxelles. Ad oggi sono sospesi i vincoli del Patto di Stabilità, ma l’austerità è dietro l’angolo.

L’unico grande passo in avanti è a livello politico: l’Europa in effetti acquisisce un ruolo maggiore, in quanto si rafforza la necessità di chiedere l’approvazione degli organi comunitari per spendere i propri soldi. In cambio di poche risorse nette, si cede un’altra fetta di potere decisionale a livello sovranazionale. I fautori del vincolo esterno sono contenti; ora la palla è nel loro campo, e il tempo per dimostrare l’efficacia delle formule di Bruxelles scorre rapidamente.

L’Europa, però, si dimostra incapace di liberarsi dalla mentalità monetarista insita nei suoi trattati, e interiorizzata dalla sua classe politica. Mentre Stati Uniti, Regno Unito e Giappone monetizzano il debito, facendolo acquistare dalla banca centrale e di fatto neutralizzando i suoi effetti, in Europa tutto passa per la volontà di centralizzare le decisioni, ma senza cambiare le regole di fondo che limitano la possibilità di un intervento pubblico più efficace.

Si consideri la scelta in questi termini: con il Recovery Fund l’Italia di fatto prende 175 miliardi di euro in prestito a tasso quasi zero, che dovrà cominciare a ripagare dal 2027. Così si risparmiano gli interessi sul debito pubblico, piuttosto che finanziarsi sul mercato. Ma la vera alternativa è questa: prendere dei prestiti a tasso zero che si dovranno ripagare tra qualche anno, o prendere prestiti a un tasso tra l-2% che non si ripagheranno mai? Perché questa è la realtà del debito pubblico: si gestisce, non si ripaga. E se – o quando – anche l’Europa accetterà questa realtà utilizzando nel modo corretto la sua banca centrale per finanziare i titoli pubblici (che significa anche azzerare il costo degli interessi, retrocessi ai governi nazionali), nessuno si strapperà le vesti per il debito fatto per salvare l’economia dalla crisi del 2020.

– Newsletter Transatlantico N. 23-2020

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4 Responses to “Recovery Fund: il bazooka spuntato”

  1. Simone Says:

    Io non ho ben capito quali riforme ci starebbero chiedendo. Le pensioni, il debito, le tasse? Abbiamo già dimostrato che più di tanto non si può fare riforme in Italia, perché si darebbe spazio ai partiti populisti.
    Detto questo, confrontare quanto il Congresso USA ha approvato (spese per il 14% del Pil in appena due mesi, da spendere subito. E il prossimo intervento di almeno mille miliardi (quasi 5% del Pil) è già in cantiere.) con l’Italia non mi pare adeguato. Paragoniamo l’Europa con gli USA. Grazie

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    • admin Says:

      Le riforme come pensioni, debito, tasse sono indicate nelle raccomandazioni specifiche per il paese, quindi non si scappa. I punti indicati nell’articolo sono quelli citati dalla Commissione. Quando c’era da tagliare spesa per enti locali, investimenti, aumentare le tasse, i tecnici ci sono riusciti abbastanza bene. Basta avere politici “responsabili” al governo.
      Se si parla di percentuali a livello europeo, il confronto è ancora peggio, soprattutto quando si considerano tempi e prestiti, appunto. Grazie del commento.

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  1. Super Mario non perde il vizio | Transatlantico - August 20, 2020

    […] ci sono le doverose considerazioni sui “sussidi” che in buona parte non sono tali, e sull’inevitabile inasprimento della richiesta di riforme […]

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